CATECHESI DI JUAN MATEOS:


L’EUCARESTIA E LA COMUNITA’



Noi come cristiani non possiamo vivere la nostra vita cristiana isolatamente, in via eccezionale è possibile, ma solo se non vi è altra possibilità, si vive anche da soli però la vita risulta mutilata, isolata: abbiamo bisogno di Comunità!

Naturalmente questa comunità ha bisogno di esprimere la sua fede in comune di volta in volta. L'esperienza interiore che ha, la sua adesione al Signore Gesù, il dono di sè agli altri, tutto questo deve potersi esprimere di tanto in tanto perché se resta soltanto nell’interiore essa non ha tutta la forza espressiva di cui necessita.

Questa è la celebrazione cristiana. Diciamo subito che non si può chiamare liturgia, perché la liturgia è il culto qui invece liturgia è la vita. Tuttavia noi chiamiamo tutto ciò liturgia però si dovrebbe chiamare celebrazione.

La celebrazione è l'espressione in comune della nostra interiorità, è quella che viviamo tutti i giorni.

Questa vita non deve ridursi ad essere pura monotonia perché l'Amore di Dio è sempre nuovo, è sempre sorpresa. Mi ricordo di una profezia che ci fu in un gruppo carismatico al quale partecipavo quando ero a Roma. Era un gruppo eccellente, equilibrato e profondo, "perché in un gruppo si trova di tutto".

In quella occasione, una signora di mezza età, colta, espresse questa profezia : "State attenti alla devozione, la vostra missione è creare condizioni di convivenza umana''.

La devozione è un rinchiudersi in se stessi, è un rifugio interiore senza uscita, poi la profezia continuava: "Adorate il mistero". Questa frase che sembrava essere tanto fuori dal contesto con quella precedente, fu chiarita da un'altra profezia che diceva: "La vostra adorazione significa la continua sorpresa dell'Amore che io ho per voi. Il mio Amore è il mistero".

In altri gruppi ci possono essere messaggi ispirati, di maggiore ο minore qualità, e qualcuno addirittura illusorio. Questo fu di tale forza e possiede una tale potenza teologica che da oltre venti anni non ho più sentito una profezia simile. Adorazione per voi non è prostrarsi a terra ma è questa continua sorpresa dell'Amore che ho per voi. Il mio Amore è il Mistero.

Questa è un po' la descrizione della vita del cristiano che vive in questa unione e comunione con il Signore. Il Suo Amore è per noi una sorpresa continua. Questo elemento si oppone alla vita monotona, mediocre e annoiata; dentro di noi non possiamo essere annoiati perché mai siamo soli anche se di fatto stiamo soli però mai ci dobbiamo sentire soli. Si può stare fisicamente soli però un cristiano non si sente mai solo perché dentro di lui, al suo fianco, c’è sempre questa Presenza, questo Amore attivo nella presenza del Signore, che è nostro compagno di vita e amico fedele.

L'Amore del Signore non è mai monotono, ci stimola continuamente ad andare avanti, senza costringerci ma che ci aiuta a crescere. Questa realtà interiore si può vivere in un modo più ο meno intenso, più ο meno emotivamente perché questo dipende dalla psicologia dell'individuo, non vi è in questo un merito maggiore ο minore poiché vi sono persone più ο meno espressive: ciò non crea grado di spiritualità perché ognuno lo vive alla sua maniera.

Questa attività gioiosa nella quale si esprime la nostra attività di ogni genere che va dal sorriso amorevole al lavoro più faticoso si riflette nella nostra vita cristiana che è espressione dell'Amore di Dio che sentiamo e portiamo dentro e che è già parte del nostro essere. Questo è quello che celebriamo.

La celebrazione non è una serie di atti, di cerimonie ο di simboli: essa nasce dalla nostra interiorità e la esprime. In ciò è il segreto di tutta l'esistenza cristiana. Diciamo, a proposito della Verità che la Verità è questa esperienza dell'Amore di Dio, è pienezza ο ampiezza di Vita che sentiamo dentro: questa è la Verità.

Tutto ciò lo formuliamo con parole, concetti e simboli, come crediamo in un modo che l'esteriore sia il riflesso dell'interiore perché l'agire scaturisce dall'essere e l’essere è la realtà principale. Per questo la celebrazione non è una cosa vuota, meccanica e nemmeno una formula: è una espressione dell'animo.

Ma naturalmente ci sono diverse classi di celebrazioni. Una di queste è la celebrazione intima di una piccola assemblea: questa si caratterizza per la sua profondità. Vi è poi l'altra celebrazione che riguarda la grande assemblea, che è la festa: questa si caratterizza per la sua esuberanza, per la sua forza espressiva. Pertanto non si deve avere nessuno schema fisso. Anche l'Eucaristia ordinaria si può celebrare nella piccola assemblea e qui non avremo molti gesti esteriori, però dominerà questo contatto comune con la presenza del Signore in mezzo a loro e naturalmente ciò rinnova enormemente.

L’altra celebrazione (quella della grande assemblea) permette l’espressione esteriore e può manifestarsi con danze, canti, musiche e con quello che crediamo. Le due celebrazioni sono necessarie.

Quello che vi dico non è una cosa mia ma si trova nell'antico messale romano dove i giorni di festa hanno diverse categorie di importanza. Una cosa è la domenica che è festa però dì piccola categoria e altra cosa è la festività e altra ancora è la solennità come per esempio è il Natale. Cioè ci sono diversi gradi di espressione, e se desideriamo che questo rinnovamento spirituale vada avanti dobbiamo manifestarlo in qualche maniera.

Una cosa è la celebrazione profonda, intima che proviene dal fondo del nostro essere, e altra è la festa nella quale la nostra corporeità esprime tutto quello che può esprimere. Ma in entrambi i casi la celebrazione è sempre una affermazione della vita. Cioè il mondo è una realtà complessa e al tempo stesso disgraziata e triste, lo stiamo vedendo, basta leggere il giornale.

In mezzo a questa realtà umana un po' caotica, disordinata e a volte crudele noi dobbiamo affermare il valore della Vita, naturalmente non è meramente la vita fisica ma pienezza, valore profondo, è lo sviluppo e la crescita continua della vita umana e si oppone ad ogni forma di oppressione, di mancanza di vita che esiste nel mondo.

La celebrazione intima ο festiva afferma la vita contro ogni fattore di morte. Questo non comporta un'evasione e nemmeno illusione. In fondo ciò che affermiamo qui è che lo strato profondo, la tappa profonda della creazione esistente non è un meccanismo senza senso: è un Amore, una fonte di Amore che è il Dio che chiamiamo PADRE NOSTRO.

Nel fondo di questa realtà a prescindere da tutti i difetti e dalle apparenze, non c'è un qualcosa che funziona meccanicamente, no, no! C'è un Amore che sta sostenendo il mondo e soprattutto l'umanità perché possa raggiungere il culmine della sua pienezza.

La festa dunque ha un posto importantissimo! L'abbiamo visto nei films, nella storia, nei popoli negri e negli schiavi. La festa assume un significato importante perchè essa è l'affermazione del valore della vita in mezzo alle disgrazie e miserie. Noi che siamo fuori da queste miserie però dobbiamo continuare ad affermarlo perché la vita è un crescendo enorme fino ad arrivare alla Pienezza che vediamo in Gesù nostro Signore. Sempre dobbiamo continuare ad affermarla, persuadendoci che Essa è la realtà profonda del mondo.

Questa Vita va crescendo perché è la Vita infinita di Dio che desidera con il Suo Amore che l'uomo cresca sempre più fino a pienezza. Questa è l'affermazione della vita che è una cosa molto importante. Poi questa partecipazione, questo mettere in comune la nostra esperienza è uno stimolo che ci prepara meglio a donarci agli altri.

Abbiamo già detto che uno è capace di amare nella misura in cui si sente amato. In effetti il momento della riunione, intima ο festiva è l'occasione in cui i sentimenti di tutti possono affiorare di più. L'esuberanza tipica della festa nella sua intimità comporta che noi dobbiamo lasciar cadere le inibizioni, le maschere che non fanno intravedere quello che realmente siamo.

Nel corso della riunione si esprime la nostra affettività, l'amicizia, la stima mutua. Quando ci si avventura a parlare di cose personali e intime si sente la stima e non la critica, la comprensione degli altri ed altre manifestazioni di amore e così quando ci si sente amati si può veramente esprimere il massimo dono di sè.

Altrimenti, se manca l'amore della comunità ci si sente sfiduciati, esausti e distrutti. Se la nostra attività apostolica, diciamo cristiana, fosse il risultato di un puro sforzo di volontà senza sentire dentro l'esperienza dell'amore del Signore e dei fratelli nei quali questo Amore si materializza, finiremmo per sentirci distrutti. Abbiamo quindi bisogno della comunità, di una comunità che di tanto in tanto si apra, si esprima, faccia cadere le barriere affinché noi tutti possiamo apprezzare meglio quella frase che si ripeteva nella chiesa primitiva: "guardate come si amano!" E' questa la realtà profonda e più importante.

C'è qui un punto della celebrazione della vita per cui noi crediamo che questa storia ha un significato che è mossa da quest'Amore profondo che è quello di nostro Signore.

Questo argomento desidero trattarlo brevemente perché è sostenuto da una espressione nei Vangeli Sinottici che parla della cosiddetta Venuta del Figlio dell'Uomo.

Che cos’è questa figura del Figlio dell'Uomo? E' la pienezza umana, è l'Uomo Dio, è figura di Gesù. E come Lui, sono tutti coloro che da Lui ricevono il dono dello Spirito. Quando si parla della “Venuta” il testo la circoscrive alla persona di Gesù. Ma che cosa significa che viene il Figlio dell'Uomo?

Questo concetto è preso dal libro di Daniele. Il testo prima descrive i quattro imperi rappresentati dalle quattro fiere e poi dice: "Venne una figura di uomo, come figlio di uomo si pose dinnanzi al trono e si avvicinò al vegliardo (che è figura di Dio) che gli chiede autorità sopra tutti i regni della terra".

Ma prima due fiere vengono completamente annientate, si riferiscono agli imperi che opprimono l'uomo di cui queste fiere sono figure; questi sono stati distrutti e scompaiono, in quanto nemici degli uomini sono perciò stessi nemici di Dio e quindi Dio si è incaricato di distruggerli.

Quando l'evangelista parla della Venuta del Figlio dell'Uomo si ispira a questo significato.

Spieghiamolo dunque brevemente e schematicamente: quando il Figlio dell'Uomo viene sulla terra vuol dire che i nemici dell'uomo sono stati sconfitti. Facciamo un esempio: nel Vangelo di Marco ο di Matteo ο Luca è uguale, il sole si oscurerà, la luna non darà più il suo splendore, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nel cielo cadranno e allora vedranno il Figlio dell'Uomo venire con grande potenza e gloria.

Gli astri e la luna rappresentano gli dei pagani, le stelle che stanno nel cielo e che cadono, rappresentano i poteri del mondo pagano che sono stati divinizzati. Valori rappresentati dagli idoli della religione pagana, il sole e la luna, si oscurano, alla scomparsa di questi falsi valori grazie alla predicazione del messaggio di Gesù, i poteri legittimati dalla religione pagana vacillano e cadono.

I nemici dell'uomo simboleggiati dalle potenze del cielo si oppongono al Padre che sta nel cielo. Anche il Padre è chiamato potenza, solo che il Padre è una Potenza di Vita mentre tutte le altre sono potenze di morte e sono queste ultime che cadono.

Pertanto la Venuta del Figlio dell'Uomo è un simbolo che significa solo questo: l'Umano, il Figlio dell'Uomo, il rappresentante massimo del valore umano, vince l'inumano.

L'umano prevale su ciò che è inumano. Questo fatto non si verificherà una volta soltanto, non rappresenta una venuta finale, queste sono invenzioni posteriori. Accadrà nella storia più volte. Ogni volta che l'umano vince l'inumano, si può dire che è venuto il Figlio dell'Uomo. Ogni volta che precipita un sistema di oppressione dell'uomo è una venuta del Figlio dell'uomo cioè una vittoria dell'umanità.

Per questo gli evangelisti hanno un senso ottimista della storia. Lungo l'arco della storia questo si verificherà continuamente in un modo più ο meno evidente. Negli ultimi anni abbiamo visto delle Venute evidenti del Figlio dell'Uomo: la caduta del muro di Berlino e della dittatura sovietica, la fine dell'apartheid nel sud Africa. Queste sono due Venute del Figlio dell'Uomo e questa è una cosa vera non mitica che cade dal cielo! Cade l'inumano e appare il trionfo dell'umano. Questa è la visione ottimistica nostra che risponde a quello di cui parlavamo prima, perché al cuore della realtà non vi è un meccanismo ma un Amore che desidera che l'uomo cresca e questo, poco a poco va crescendo mentre i regimi e i sistemi oppressori andranno scomparendo. Ogni volta che scompaiono abbiamo la Venuta del Figlio dell'uomo.

Questa è la visione degli evangelisti sinottici e la nostra, mentre Giovanni non l'ha detto. Per questo noi possiamo sottolineare il valore della vita. Tutti questi avvenimenti positivi sono per noi motivo di allegria perché si sta compiendo quello che gli evangelisti annunziavano: un processo unico di liberazione dell'uomo. Non è illusorio tutto ciò e neppure una evasione da questo mondo di cui osserviamo la crudeltà, ma il nostro sguardo d'amore che è quello del cristiano, scopre i segni favorevoli del progresso umano, della sua emancipazione, altrimenti non comprenderemo questa realtà nella quale lo Spirito di Dio lavora incessantemente.

Tutto questo entra nella nostra festa, perché noi non celebriamo soltanto la nostra esperienza interiore, ma celebriamo la vita per l'umanità e tutto questo è motivo di allegria. Come il nostro amore deve estendersi al mondo intero, così qualunque cosa succede nel mondo di positivo ha un riflesso gioioso in ciascuno di noi.

Oggi per esempio nella città di Gerico ha cominciato ad entrare la polizia palestinese ed è stata issata la bandiera palestinese. Quanta tragedia poteva evitarsi, quanta morte c'è stata e poteva non esserci.

In questi episodi dobbiamo riconoscere l'azione dello Spirito e questo ci mette tanta allegria perché il Signore è all'opera, lavora in maniera non sempre evidente, agendo sul cuore di quel politico, di questa ο quella persona di buona volontà, proponendo sempre.

Tutto questo va creando un clima più umano e questa è la nostra visione del mondo. Pertanto la nostra celebrazione non può rimanere chiusa nel suo piccolo ambito perché noi viviamo in mezzo al mondo, dentro questa umanità e tutto ciò che riguarda l'umanità riguarda anche noi.

La celebrazione cristiana non si limita all'Eucaristia, ma ha molte espressioni, modi e maniere però ha nell'Eucaristia il cuore, il culmine della sua espressione. Diciamo che l'Eucaristia è la celebrazione cristiana per definizione.

Ma qual è il suo significato profondo? Possiamo a volte rimanere disorientati perché nel Vangelo di Marco ο di Luca oppure di Matteo, coloro che assistono all'Eucaristia sono i Dodici.

In Marco Gesù non desidera celebrare la Pasqua, non ha nessuna intenzione di celebrare la Pasqua giudaica perché per Lui non ha alcun significato, è la Pasqua giudea, la Pasqua ufficiale, la Pasqua del regime oppressore. Sono i discepoli che Marco annovera nel gruppo dei seguaci di Gesù e che procedono dal giudaismo a voler celebrare la Pasqua ebraica. Essi non comprendono il messaggio di Gesù e, in tutto il Vangelo, non lo capiscono mai fino alla fine. Allora questi propongono a Gesù di celebrare la Pasqua e Gesù accetta, però cerca di far capire loro che la Pasqua è cambiata, che ce n'è un'altra e, con l'occasione Egli va a celebrare un'altra Pasqua: la Sua, non quella giudea.

La Pasqua come sappiamo, è la festa della liberazione dall'Egitto, ma Gesù compie un'altra liberazione, molto superiore. Quella dell'Egitto è una liberazione molto violenta, con piaghe di ogni genere dove alla fine muoiono i primogeniti degli egiziani; è di una crudeltà tremenda e ciò non è un modello per Gesù, per questo fa comprendere ai dodici che la Pasqua è cambiata, perché è cambiata l'Alleanza.

L'antica alleanza non serve più, ora c'è un'Alleanza nuova. Marco intelligentemente, nel descrivere coloro che sono presenti all'Eucaristia li indica in due modi: i Dodici da una parte, e dall'altra i Discepoli. Il numero dodici rappresenta tutti quei giudei che aderirono a Gesù, è un numero simbolico in quanto non designa esattamente dodici persone ma in esso comprende tutti i seguaci di Gesù provenienti dal giudaismo. In quanto dodici rappresentano l'Israele messianico, il Nuovo Israele e, a questo nuovo Israele, va ad insegnargli che l'antico è terminato, perché l'antica alleanza si è conclusa, è giunta al termine. Allora la scena che Marco presenta è ispirata al libro dell'Esodo 24 dove si descrive il rito con cui Mosè istituì l'antica alleanza: Mosè erige un altare di pietra, poi prende il libro della legge, lo levò in alto e lo offrì al popolo dicendo: "Questa è la Legge del nostro Dio, quella a cui dovete obbedire". Così il popolo dichiarò di dare adesione a quella Legge. Allora fu sgozzato un animale ed il sangue fu versato in un recipiente e con un ramo secco, cosparse di sangue l'altare e il popolo. Con il sangue si allude allo stretto vincolo di parentela tra Dio e il popolo. Marco nella sua descrizione allude a questa scena.

Gesù non prende il libro della legge ma prende il pane e dice: "Questo è il mio corpo, prendete!" Come Mosè offre la legge al popolo. Gesù offre il pane ai suoi.

Corpo è una parola che dobbiamo esaminare perché non allude ad una semplice realtà fisica. Nel linguaggio semitico usato dagli evangelisti, dell'uomo non si distinguono parti ma aspetti.

L'uomo è una unità indivisibile che può essere considerato da differenti punti di vista.

L’uomo ha un aspetto che si chiama "psiche" in quanto intelligente e libero.

Il corpo in greco si chiama "soma" in quanto questo stesso uomo è identificabile, attivo e comunicativo. Il "soma" rappresenta l’attività. Il corpo si chiama anche carne in quanto questo stesso uomo è debole, transitorio e mortale.

Queste non sono tre parti dell'uomo bensì rappresentano tre aspetti della persona. L'uomo è l’io intelligente e libero, la psiche è l'io in quanto attività ed identità propria, il soma è l'io in quanto mortale, soggetto al dolore, alla paura e alla morte, carne ο sarx.

Quando Gesù dice: "Prendete, questo è il mio corpo" sta dicendo: questo rappresenta la mia Persona in quanto attiva, cioè rappresenta la mia traiettoria storica; tutto quello che Io ho fatto in questa vita per voi. Mosè versava il sangue sull'altare e sul popolo ma Gesù prende il calice e dice: "Prendete e bevetene tutti, questo è il sangue della Mia Alleanza".

È finita l'antica alleanza, il sangue rappresenta la persona in quanto si dona e il dono finale è la morte. Il sangue sparso è la morte violenta che Gesù patisce e che accetta volontariamente; è il Suo atto in cui culmina il Suo dono per l'umanità, la Sua offerta d'Amore per tutti gli uomini, non soltanto per il gruppo ma per l'intera umanità. Questo sangue è quello che crea il vincolo tra Dio e il popolo, però non è un vincolo esterno come quello di Mosè che asperse di sangue l'altare, ma è un vincolo interiore perché questo sangue assimilato e accettato è quello che dà il dono dello Spirito. Il vincolo è interno e l'uomo è vincolato a Dio perché possiede dentro di sé la Vita stessa di Dio.

Ai Dodici provenienti dal giudaismo fa comprendere che l'alleanza antica non c'è più, è finita. Questo è il mio corpo, cioè questo sono Io in quanto attività storica, ossia la norma è fare ciò che ha fatto Gesù: è essere come Lui. Questo significa il dono del pane. La coppa del vino significa accettare di essere come Lui, fino alla fine senza porre limiti al nostro dono, sia quello che sia.

L'Eucaristia è la rinnovazione del nostro impegno personale con Gesù: nel prendere questo pane, simbolo della Tua Persona, desidero essere come Te! Desidero che la mia linea di condotta sia come la Tua!

Che cos'è questa linea? È quella dell'amore continuo, dell'amore che non torna indietro, che va avanti fino alla fine. Mai mi tirerò indietro per nessun motivo ο per paura di subire delle conseguenze, quindi m'impegnerò ad amare fino alla fine, capiti quello che capiti. L'Eucaristia è un impegno, un compromesso con Gesù ed è la stessa realtà del battesimo.

Che cos'è il sacramento cristiano? È l'impegno personale con Gesù e con la Sua opera salvatrice che significa datrice di vita: salvare significa dare vita e questo si esprime per la prima volta nel battesimo e nel battesimo dobbiamo dare la nostra adesione a Gesù mantenendo il proposito di praticare l'amore.

Signore io sono con te, desidero stare con te per collaborare al tuo progetto.

L'Eucaristia è la rinnovazione di questo proposito ma in essa non c'è soltanto un'adesione né un semplice proposito di amore ma in essa portiamo un amore già messo in pratica perché stiamo vivendo in questo amore: questo noi l'offriamo nell'Eucaristia. Prendendo il pane e il vino, "il Corpo e il Sangue" chiediamo al Signore di essere sempre più come Lui e di arrivare a quel culmine d'amore a cui Lui è arrivato.

Naturalmente a questa risposta di adesione la controrisposta di Gesù è il Dono dello Spirito che è la presenza di Gesù e del Padre in noi.

Non è una cosa puramente devozionale, è molto di più: è un impegno vitale che si va rinforzando sempre di più nella vita di ciascuno secondo la propria psicologia e le proprie caratteristiche personali. Si può circondare di tanti elementi particolari ma al fondo, la sua essenza, si può tradurre con questa affermazione: "Signore voglio essere sempre di più come Te e chiedo di essere fedele al mio impegno con Te fino alla fine" e come risposta si verifica l'effusione dello Spirito in noi.

Dunque la vecchia alleanza è terminata, ora abbiamo una nuova relazione con Dio che non è più quella esteriore basata sul versamento del sangue sull'altare ma la nuova relazione dello Spirito Vivente dentro di noi, è la nuova relazione intima, profonda di Dio dentro di noi e questo cambia tutto, proprio tutto.

Non serve più la regolamentazione giudea di una alleanza fondata su leggi, norme e rituali.

Questa scena non esprime un rito particolare ma avviene nel mezzo di un pasto in cui Gesù prende il pane, elemento del pranzo e prende il vino che è l'altro elemento del cibo, non sono elementi rituali perché Gesù non istituisce nessun rito ο cerimonia più ο meno esoterica. Viene ad integrare, a completare nello spirito la vita dell'uomo.

Il gesto fondamentale di unione, il simbolo è il mangiare in comune. Quando ciò che è animale, istintivo passa nella sfera umana, esso cambia significato.

Qui abbiamo il mangiare che è un atto "animale", passando al registro umano che è il registro dello Spirito, non mangiamo più perché dobbiamo conservare la vita, ma mangiamo per gusto, per piacere.

Il mangiare in comune si converte in simbolo di amicizia perché l'alimento è fattore di vita per cui partecipando tutti al medesimo alimento, partecipiamo della stessa vita e allora siamo come fratelli.

Questo è il simbolismo profondo, arcaico che c'è nel mangiare insieme come appare in Abramo che vive in un'epoca abbastanza antica e, molto prima di lui, in altre culture.

Mangiare insieme, partecipare alla stessa tavola e nutrirsi dello stesso pane è simbolo di fraternità, di unione e di amicizia. Gesù non inventa simboli ma coglie quelli esistenti e ne cambia la profondità perché questo non è un pane qualsiasi ma è il Suo Pane che rappresenta il Suo Amore. Partecipando tutti a questo Pane che è il Suo Amore, il vincolo che si crea tra di noi è una comunità di Amore.

Con Lui in mezzo a noi si crea una nuova fraternità. La Vita che questo Pane e questo Vino comunica non è la vita fisica, è la Vita divina. Pertanto possiamo vedere come Gesù si basa sul simbolismo naturale, umano dell'alimento e nel dargli la nuova profondità, gli conferisce una nuova qualità di espressione e una nuova realtà perché veramente, questo Pane comunica la Vita Divina.

L'evangelista Giovanni non descrive l'Eucaristia, però tuttavia la tratta profondamente nel capitolo sesto quando parla dell’episodio dei pani e del pane dell'esodo definitivo. Esodo significa liberazione e liberare è far passare da uno stato cattivo, negativo ad uno stato buono.

Nell'esodo di Mosè il popolo passò dalla schiavitù alla libertà ma poi si ritrovò nella sua terra nuovamente schiavo e pertanto ci si aspettava un esodo definitivo che avrebbe realizzato il Messia.

Gesù, nel Vangelo di Giovanni allude al primo esodo e dice: "Il pane che io vi do non è come quello dei vostri padri che mangiarono la manna ma morirono nel deserto. Colui che mangia questo pane vivrà eternamente". Questo è l'esodo definitivo che ha due tappe. Già ora stiamo vivendo questa vita definitiva perché colui che mangia il Suo Corpo ha già la vita per sempre e questo è l'esodo che non fallisce mai.

Tutti quelli che uscirono dall'Egitto morirono nel deserto e non videro mai la terra promessa. Noi invece abbiamo già il passaporto, il permesso per la Terra promessa che è il Regno definitivo.

Però già qui, noi abbiamo una sicura terra promessa in quanto l'esodo del Signore non è come quello antico che ha bisogno di un interminabile deserto da percorrere. Al cambiare dei valori, nell'accettare Gesù, nell’assimilare la Sua Vita e la Sua morte come nell'Eucaristia, noi assimiliamo la Sua persona, la Sua vita, il Suo dono e così arriviamo alla terra promessa.

La terra promessa è prima di tutto, la comunità cristiana: è l'amore al posto dell'ostilità, l'aiuto reciproco, la comprensione e tutto ciò che crea l'uguaglianza che abolisce il potere di una persona sull'altra.

Nell'Evangelo di Marco, la scena dei pani, avviene in un luogo deserto, come l'antico esodo dove Gesù dà il pane al posto della manna, Gesù dice loro di sdraiarsi, di sedersi sull'erba verde.

Come mai l'erba verde in un luogo deserto? Perché la terra promessa è già arrivata! Quando facciamo l'opzione per Gesù entriamo subito nella terra promessa che è il gruppo cristiano dove noi impariamo a vivere in maniera profondamente umana che è ciò che il Signore desidera.

Perché la nostra crescita deve essere una crescita di umanizzazione che sarà coronata dalla condizione di Figlio di Dio. Però non possiamo arrivare a Dio saltando l'umano perché ciò non ci avvicinerebbe a Dio e non darebbe valore alla nostra persona. Dunque non c'è deserto, un lungo pellegrinaggio, no, no.

Quando si fa l'opzione per Gesù, lì è la terra promessa.

Per questo l'esodo non conosce fallimento. Questa terra promessa sbocca nella definitiva Terra Promessa, quella che ci attende dopo la morte come dice il Signore: "Colui che aderisce al mio messaggio non si accorgerà mai di morire" (Non saprà mai cosa significa morire).

Quello che appare come morte e distruzione, per colui che la sperimenta, non ha nessun significato ο esperienza di annientamento. È un'esperienza con cui si passa da uno stato di vita ad un altro. "Colui che accoglie il mio messaggio non farà l'esperienza della morte". Il pane e il vino, cioè l'assimilazione della vita e della morte di Gesù lo condurrà all'esodo definitivo.

Ma c'è anche un'altra cosa nella formulazione di Giovanni che pone l'Eucaristia in chiave del Figlio dell'Uomo: Dice in 6,50: "Colui che mangia la carne e beve il sangue del Figlio Dell'Uomo ha la vita definitiva". Non è la stessa cosa che ha detto del pane.

Il Figlio dell'Uomo, come abbiamo detto, è il prototipo dell'uomo e del massimo sviluppo della persona umana. Gesù è l'Uomo-Dio. Egli è uguale al Padre e possiede tutta la Vita divina che il Padre gli ha donato. Dunque Giovanni pone l'Eucaristia in chiave di sviluppo umano. Giovanni non usa la parola corpo ma carne che è l'equivalente greco del termine ebraico. Tuttavia carne ha una connotazione forse più storica e indica la vita storica e mortale di Gesù. Pertanto mangiare la Sua carne è fare propria la vita mortale di Gesù e bere il Suo sangue è assomigliare tanto a Gesù così da arrivare alla Sua stessa offerta totale di sé, di amare fino alla morte che è la manifestazione massima dell'amore. Pertanto l'unica linea per lo sviluppo umano è seguire questa linea di Gesù che è la linea dell'amore.

Questo amore non si scoraggia mai, non ritorna indietro, esso è amore fedele ed arriva fino a dare la vita.

Questa è la nostra linea, ma è la linea di tutto il genere umano, conoscono ο no Gesù.

Questo principio che l'evangelista pone in termini cristiani è valido per tutti. Una persona qualsiasi, cristiana ο no, mussulmana, buddista ο di altre religioni ο filosofie, si svilupperà come persona se segue la linea dell'amore come indicata da Gesù, altrimenti non crescerà.

Come abbiamo già detto, crescere noi stessi e far crescere gli altri è il lavoro cristiano. La nostra crescita è sempre assicurata, basta fare l'opzione per Gesù e seguire la linea dell'amore, mentre la crescita degli altri è condizionata dalla libertà dell'altro.

Se l'altro desidera approfondire quello che gli proponiamo, allora crescerà altrimenti non potremo fare nulla.

Il frutto è duplice: nel procurare di far fruttificare gli altri, produciamo frutti anche per noi; le due cose sono inseparabili perché non posso dedicarmi alla mia perfezione prescindendo dagli altri. Il mio amore cresce amando e quindi mi svilupperò nella misura in cui mi vado donando e ciò aumenterà in me la capacità di amare.

L'Eucaristia è simbolo di tutto ciò: "Colui che mangia la carne e beve il mio sangue", questo è quello che cresce fino ad arrivare alla pienezza di Figlio di Dio ed assomigliare a Gesù, il Figlio dell'Uomo, che è il Cammino, la Verità e la Vita.

NON C’È ALTRO.

Gesù è l'unico Cammino, non vi è altra possibilità, non vi è altra via per le persone.

Abbiamo esaurito l'argomento ma dobbiamo riflettere su questa idea dell'Eucaristia che è la nostra celebrazione intima, profonda oppure esuberante e festosa in cui portiamo il nostro amore a Gesù e agli altri già messo in pratica.

C'è un particolare nella scena della pesca nel Vangelo di Giovanni al capitolo 21, quando Gesù risuscitato aveva preparato una brace su cui aveva messo dei pani e un pesce simbolo dell'Eucaristia. Dice loro:"portatemi i pesci che voi avete pescato" essi sono il frutto della missione, ora portateli nell'Eucaristia.

Non si può venire a mani vuote, solo con devozione ma si deve venire con il nostro amore già messo in pratica.

Questo entra e si integra con l'Amore di Gesù. AMEN!








N.B. Liberamente tradotto da una audiocassetta senza il preventivo consenso dell'autore.