CATECHESI DI P. JUAN MATEOS S.J.

SUL TRIDUO PASQUALE

SABATO SANTO

(GRANADA, Spagna, 1982)

 

La vita che vince la morte

        La vita che vince la morte è ciò che chiamiamo "risurrezione". Ma bisogna intendere bene questo termine che appartiene al modo di parlare giudaico; il concetto di risurrezione era una categoria della religiosità farisaica. Ugualmente dobbiamo capire cosa significa: "...dopo tre giorni, risusciterà" (Mt 16,21; Mc 8,31; Lc 9,22), espressione appartenente al linguaggio dell'epoca.

I "tre giorni..." non sono da prendere dal punto di vista cronologico ma figurato, cioè ci si riferisce a un tempo limitato, piuttosto breve.

I discepoli fecero fatica a credere che Gesù continuava a vivere dopo la sua morte.

L'evangelista Giovanni ha presentato il fatto della morte di Gesù con un'espressione particolare: "chinò il capo", nel senso di "addormentarsi", così si vuole indicare che la morte di Gesù è soltanto fisica ed essa non ha potere sulla sua vita.

Si tratta di un'apparenza che è di morte, ma dentro c'è la vita; è la stessa situazione che troviamo nella risurrezione di Lazzaro: "il nostro amico dorme..." (Gv 11,11). Questo è difficile da capire per i discepoli.

Nella scena della sepoltura, secondo Giovanni, si trova presente un discepolo "clandestino" (Giuseppe d'Arimatea, Gv19, 38).

Costui rappresenta la comunità di discepoli che, per paura delle autorità giudaiche, anche essi si erano nascosti (Gv 20,19).

Di questo personaggio non si parlerà più, quindi egli è figura dello stato in cui vive la comunità dei discepoli. La paura di questo uomo è minore riguardo le autorità romane, infatti egli si rivolge a Pilato, chiedendo il corpo di Gesù.

Era meno pericoloso il potere straniero di quello del proprio paese.

I veri responsabili della morte di Gesù sono i sacerdoti, gli scribi e i dottori della legge: l'istituzione religiosa.

Accanto a quel discepolo clandestino, si trova anche Nicodemo, uno dei farisei simpatizzanti di Gesù e che era andato a trovarlo di notte (Gv 3,1-21: dove la notte è sinonimo di incapacità di comprendere, di essere nella zona delle tenebre).

Nicodemo, uomo pio e giusto, amante della giustizia, crede nell'efficacia della Legge per fare giustizia. Quando gli altri farisei, attaccano Gesù con false accuse, egli lo difende dicendo: "la nostra Legge non permette di giudicare un uomo senza prima ascoltarlo" (Gv 7,15); Nicodemo viene preso in giro dai suoi stessi compagni: "...anche tu sei galileo..." (Gv 7,52).

Nicodemo, nella sua ingenuità, pensa che la Legge sia imparziale, senza accorgersi che essa è strumentalizzata da una cerchia di potere per il proprio interesse.

Nicodemo invoca la Legge per difendere Gesù e coloro che detengono il potere ridono di lui: la Legge sarà il loro principale strumento per metter a morte Gesù.

Nicodemo, nonostante la sua ammirazione verso Gesù, è incapace di capire la novità del suo messaggio, per questo si reca al sepolcro con quasi cinquanta chili di unguenti per imbalsamare il corpo di Gesù.

Ora, cinquanta chili di profumi è una cifra del tutto esagerata, ma risponde all'intenzione dell'evangelista che intende così colpire l'attenzione dei suoi lettori.

Quando Maria, la sorella di Lazzaro, aveva unto i piedi di Gesù (Gv 12,1-5), prese una "libbra" di nardo prezioso, in segno del suo amore verso il Maestro.

Nicodemo, invece, che non prova un vincolo d'affetto simile (non ha veramente fede in lui), ma soltanto ammirazione verso un eroe ingiustamente condannato, si reca al sepolcro non con una ma con "cento" libbre di unguenti...!(Gv 19,39).

Nicodemo non crede che Gesù possa essere vivo, egli vuole soltanto onorare la memoria dell'eroe morto, l'innocente -ingiustamente condannato- che deve essere ricordato dalle generazioni future.

Gli aromi servono a questo, a imbalsamare un corpo che non vive più; tale è la sua mentalità: con la morte tutto è finito.

Il fatto preoccupante della scena è che il discepolo e il fariseo vanno insieme per seppellire Gesù, essi hanno la stessa mentalità riguardo la morte.

In Gv 19,40 si dice "e lo seppellirono alla maniera giudaica"; cioè, secondo la loro concezione della morte come fine della vita umana. Tale concezione è rappresentata simbolicamente dalla "pietra del sepolcro" (Gv 20,1): ciò che separa definitivamente il mondo dei vivi dal mondo dei morti.

Dietro la pietra del sepolcro non ci può essere speranza alcuna di vita.

Nonostante questo, e seguendo il linguaggio simbolico dell'evangelista, Gesù viene seppellito in un "orto", cioè in un giardino (in greco è la stessa parola).

Il giardino è sempre luogo di fecondità, dove sgorga e rinasce la vita. Senza accorgersene, i due personaggi seppelliscono Gesù in un luogo che essi avevano a disposizione, in un luogo dove germoglia la vita.

L'evangelista aggiunge: "era un sepolcro nuovo, dove nessuno era stato ancora posto" (Gv 19,41).

L'espressione sembra una ridondanza del tutto arbitraria, se il sepolcro "era nuovo", era logico che nessuno era stato messo prima.

Bisogna saper leggere il testo fra le righe: il luogo riservato alla morte (sepolcro) si trova in un ambito di vita (giardino).

Con Gesù si inaugura una nuova era: il sepolcro sarà soltanto il luogo dove si trova la morte fisica, ma all'interno di quella morte esiste la vita, perciò esso si trova in un giardino.

Bisogna passare per la morte per entrare nella vita definitiva.

Un altro personaggio rappresentativo del racconto è una donna: Maria di Magdala, figura femminina che rappresenta la comunità cristiana.

I due personaggi che, nel vangelo di Giovanni, rappresentano la comunità dei discepoli sono: un maschio, il discepolo amato e intimo di Gesù ("voi siete i miei amici..." Gv 15,15), e una femmina: la Maddalena, immagine della comunità-sposa del suo Signore.

Per descrivere il rapporto di Gesù con la sua comunità, con tutti noi, vengono usate due figure umane ("amico" / "sposa") che riguardano l'uomo e la donna (parità di diritti, stessa categoria).

Maria va al sepolcro e trova la pietra che è stata rimossa (non c'è più divisione tra mondo dei vivi e mondo dei morti; la morte non ha più l'ultima parola sulla vita dell'uomo).

Maria, immagine della comunità, ancora non si è accorta che Gesù non può essere morto, e va in cerca del corpo del suo "sposo" poiché è convinta che sia stato rubato (Gv 20,2).

Ancora non ha capito che Gesù non può essere cercato nell'ambito della morte (sepolcro).

Anche noi facciamo fatica a capire che la morte non interrompe la vita, che il morire non significa la fine di ogni esistenza umana.

Bisogna spiegare cosa è questa "vita".

Dio ha creato l'uomo e tutto ciò che esiste. La vita che contiene l'universo intero è opera di Dio. Egli è creatore, ma non tratta l'uomo come un suo suddito, né vuole sostituirsi a lui.

Dio lascia all'uomo totale iniziativa per agire e lo considera un suo collaboratore nonostante la sua intelligenza e libertà limitate.

L'uomo non ha ancora raggiunto la sua pienezza, pertanto, in quanto creatura che nasce è destinato anche a morire.

Il progetto di Dio sull'uomo non è che egli muoia, ma che possa vivere per sempre.

Dio vuole dare all'uomo una vita definitiva, pertanto finché non avrà tale qualità di vita, l'uomo sarà ancora "incompleto".

Per essere veramente uomo, cioè con una vita che non conosca tramonto, egli ha bisogno della capacità di amare, la stessa che identifica la persona di Dio.

L'uomo deve somigliare a Dio in questo: dimostrare un amore capace di donarsi completamente agli altri. Tale capacità di amare non è innata all'uomo, ma si tratta di un dono che Dio offre gratuitamente e davanti al quale l'uomo deve dare una risposta.

In questo senso si parla di una collaborazione tra Dio e la persona umana; quando essa è intelligente e libera può essere in grado di cogliere la natura del dono che Dio gli offre.

Ci sono due strade:

La scelta a favore dell'una ο dell'altra viene facilitata dal fatto che tutti noi portiamo dentro il desiderio di vita.

Dio ha seminato tale desiderio nell'intimo del nostro essere dal momento in cui ci ha creato.

L'aspirazione dell'uomo è quella di vivere in pienezza, raggiungere la felicità. Vita è sinonimo di amore, allegria, pace, comunicazione, prosperità, abbondanza...

È ciò che cerchiamo e di cui abbiamo bisogno.

Per riuscire in questo obiettivo bisogna inserirsi sulla strada dell'amore gratuito che vuol dire vita per sempre.

Colui che ama è vivo, chi è incapace di amare è già morto anche se fisicamente ancora in vita ("vegeta...").

Tutti noi siamo nati come persone "a metà...", incompiute, ma con la facoltà di scegliere, ed ecco la "seconda nascita": scegliere il dono gratuito dell'amore di Dio, per essere come lui capacitati ad amare senza limiti né condizionamenti.

A tale opzione libera dell'uomo -facilitata dal suo desiderio di pienezza- corrisponde l'effusione dello Spirito di Dio, la sua stessa capacità di amare.

Ora la persona umana è veramente "compiuta", a immagine e somiglianza di Dio, poiché rinata (nel vangelo di Giovanni si dirà: "nascere dall'alto", oppure "nascere dallo Spirito") a nuova vita.

Ciò che impariamo dal racconto evangelico della risurrezione è lo stato attuale dell'uomo, quello della vita fisica, non è quello ultimo e definitivo, ma si tratta semplicemente di una tappa nel processo di crescita ("evoluzione") dell'essere umano. Tale stato finisce con la morte fisica, ma l'uomo non finisce in esso.

Tale è l'insegnamento che Gesù vuol far capire alla sua comunità, rappresentata da tre fratelli: Lazzaro, Marta e Maria (Gv 11,1-44).

Le due sorelle mandano a dire a Gesù che Lazzaro è colto da malattia. Gesù si fa attendere alcuni giorni e quando arriva a Betania, il paese dove risiede la comunità, Lazzaro è già morto.

Tutta la scena si svolge in un clima di lutto e condoglianze... di fronte alla morte, la comunità mantiene lo stesso atteggiamento dell'ambiente paesano che la circonda.

I Giudei, i nemici di Gesù, non hanno trovato in quella comunità niente di particolare in modo da distinguersi dalla mentalità tradizionale.

Si tratta di una comunità che non ha rotto con l'ideologia del sistema che si oppone a Gesù.

I Giudei vanno da Marta e Maria per fare le condoglianze, come se il fatto che Lazzaro fosse discepolo di Gesù non avesse alcuna rilevanza davanti al dramma della morte.

Gesù preferisce rimanere fuori e non entra nella casa dove ancora vige la mentalità del sistema giudaico. Marta viene incontro a lui quasi con un rimprovero: "Signore se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto".

Come se Gesù fosse venuto a impedire la morte fisica...! essa è un fenomeno naturale in ogni organismo vivo.

Anche nella nostra mentalità si continua considerando la morte come una terribile tragedia (basta pensare all'apparato dei funerali di una volta con quel "Dies irae" che rendeva spaventoso ogni pensiero riguardo la morte).

Gesù non è venuto a sopprimere la morte fisica ma a vincerla.

Neanche la risposta che Gesù dà a Marta ("tuo fratello risusciterà...") viene capita... essa la interpreta con un tono rassegnato: "Si Signore, so che risusciterà nell'ultimo giorno...".

Non resta altro che attendere con rassegnazione quella fine dei tempi per vedere i morti risorgere...

Questa era la dottrina farisaica riguardo la risurrezione (ancora vigente nelle teste di molti cristiani).

La risurrezione si vede come qualcosa di apoteosico relazionato con la fine del mondo (basta pensare al famoso "giudizio finale" di Michelangelo). Nei documenti dei farisei troviamo la stessa concezione.

Gesù, invece, cambia completamente rotta.

Egli stesso si presenta come "la risurrezione" perché lui è la vita.

Gesù comunica una qualità di vita tale capace di vincere la morte, non quella fisica ma la morte intesa come fine di tutto.

Anche riguardo l'espressione "l'ultimo giorno", Gesù intende un significato nuovo.

Secondo la mentalità giudaica, "l'ultimo giorno" comportava il cambiamento d'epoca, la fine di un mondo malvagio e peccatore e l'inizio di un mondo nuovo e definitivo, e in ciò consisteva la fine della storia.

Si inaugurava un'epoca nuova, di felicità e di pace dove soltanto i giusti potevano avere accesso.

La novità del messaggio portato da Gesù consiste nel dimostrare che l'inizio di quell'epoca nuova si verifica all'interno della storia stessa.

"L'ultimo giorno", in cui si inaugura il mondo nuovo, è quello della sua morte.

Lazzaro risusciterà nell'ultimo giorno, cioè nel giorno della morte di Gesù, poiché è dalla croce che egli effonde il suo Spirito, la vita definitiva che supera la morte fisica e apre l'essere umano ad una dimensione nuova.

Noi non possiamo pensare -come fanno alcune moderne "utopie"- che stiamo per creare qui la società definitiva e ultima.

Ogni tentativo di voler raggiungere lo stadio definitivo in questo mondo transitorio è una pura illusione.

Gesù non rinuncia a creare su questa terra una società giusta, il Regno di Dio è già presente in mezzo a noi, e ci dà la conferma che questa società nuova non perisce con la morte.

Il nostro compito è quello di contribuire nella costruzione di questa realtà del Regno, facilitando agli uomini il passaggio dalla morte alla vita, promuovendo una qualità migliore nelle situazioni umane e creando nuclei dove l'amore gratuito -che è alla base dei rapporti interpersonali- sia veramente visibile.

Un simile impegno non finisce in una realtà contingente come la nostra.

Bisogna superare il passaggio della morte fisica per continuare nel nostro processo di crescita.

L'essere umano è un "progetto" di immortalità, il cui esito dipende dall'uomo stesso.

E' un progetto che non può essere mai imposto dall'alto, bisogna che l'uomo dia la sua adesione e diventi collaboratore di esso.

Ciò dimostra la grande stima che Dio ha dell'uomo, quando lo innalza al suo stesso livello per renderlo simile a lui.

Tocca all'uomo saper scegliere:

La nuova umanità sgorgata dal costato di Gesù è già in atto e tutti possiamo entrare a far parte di essa.

Chiunque sceglie di dedicare la sua vita agli altri, rinunciando all'egoismo, riceve lo spirito nuovo, la nuova forza per amare, tanto se è consapevole tantο se è inconsapevole, senza implicazione della sua fede (se è cristiano oppure no).

Lo spirito di Dio viene dato a tutti quanti fanno la scelta dell'amore che è quella della vita.

È questa la nascita della nuova umanità, quella destinata alla vita.

Il nascere comporta sempre una crescita; in questo modo l'uomo comincia a ricevere quella capacità, poi la sviluppa nel metterla in pratica.

Come il bambino, che ha volontà e intelligenza ma per esercitarla ha bisogno di crescere e maturare, allo stesso modo i credenti ricevono la capacità di amare ma essa sarà visibile quando la metteranno in pratica.

Bisogna imparare ad amare, non ci si arriva in un giorno...

In questo delicato compito Dio non si sostituisce all'uomo, ma lo lascia maturare, nella sua crescita, affinché sia l'uomo stesso a far uso di quella capacità che gli permette di impostare positivamente la propria esistenza e di arrivare ad amare come Gesù ha amato, fino al dono totale di sé.

La missione della comunità è quella di dimostrare un amore simile a quello del Signore. Così viene spiegato da Giovanni nella scena dell'apparizione di Gesù ai discepoli.

Dopo l'evento della morte del loro Maestro, i discepoli sono chiusi in casa per paura di essere scoperti dalle autorità giudaiche.

La paura è l'elemento dominante in quella situazione. Hanno paura di poter fare la stessa fine del Maestro.

Non possono credere che Gesù continui a vivere... quindi, la causa della paura è l'essere condannati a morte.

L'arma più forte del potere è quella di incutere paura con minacce di morte. Quando tale paura è superata abbiamo l'uomo completamente libero.

I discepoli non dimostrano di essere liberi, vivono nascosti per paura delle
autorità.

In quella notte, Gesù si fa presente in mezzo a loro (la scena ricorda l'evento dell'esodo dall'Egitto che aveva avuto luogo di notte) come liberatore. I discepoli vengono liberati dalla paura di morire, si attua così il vero "esodo" verso la nuova società.

Gesù risorto si presenta in mezzo alla comunità e mostra i segni della sua passione e morte, ma egli è vivo.

L'evangelista ci descrive questa esperienza come se fosse una apparizione.

Ciò che la comunità dei discepoli ha sperimentato è il sentire vivo e in mezzo a loro -come fonte di vita- colui che era morto.

C'è un cambiamento radicale nella loro esperienza di fede, essi si riempiono di gioia.

Hanno avuto la conferma che la vita è più forte della morte.

Il Signore risorto alitò su di loro... come Dio aveva fatto nella creazione di Adamo. Il soffio è simbolo dell'effusione di vita, ora l'uomo vero comincia ad esistere.

Lo Spirito che viene comunicato è il frutto della morte di Gesù, la sua stessa qualità di amore che porta l'uomo alla sua pienezza.

Questo nuovo inizio della comunità viene accompagnato da una missione: "come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi..." (Gv 20,21).

Chi riceve lo Spirito è consapevole di non restare solo, la sua vita è accompagnata da Gesù e dal Padre (Gv 14,23) i suoi stretti collaboratori nel diffondere amore.

Come amici che sanno aiutare l'amico... non più "padroni" ma compagni di ogni essere umano.

Tale esperienza deve continuare a crescere in modo che la nostra fiducia nel Signore aumenti in maniera progressiva.

Non si può più parlare di un Dio adirato ο arrabbiato con l'uomo... questo è completamente falso.

Il Signore è l'amico fedele, non ci abbandona mai e si può sempre contare su di lui.

Questa è l'esperienza nuova, e come tale non può rimanere chiusa in se stessa ma deve essere comunicata agli altri.

La comunità dei credenti non è un "cenacolo" di anime elette, ma un gruppo che proietta verso l'esterno la sua esperienza di vita e di pienezza.

L'amore di Dio si può paragonare a un sasso gettato in un lago, esso produce un’onda che si allontana sempre più dal centro, mai torna su se stessa.

Quando il Padre ci comunica vita non è per ritornare verso di lui, ma per uscire fuori, lasciandosi portare avanti da quell'onda centrifuga di amore.

Ciò che Dio vuole è che il suo amore si possa diffondere e raggiungere tutta l'umanità.

Questa è anche la missione del credente.

Così abbiamo la comunità, fenomeno nuovo e assolutamente efficace, garante dei rapporti interpersonali fondati sull'amore.

Si tratta di un gruppo delimitato non perché sia chiuso, ma per l'opzione che ha fatto: mettere in pratica l'unico comandamento che Gesù ha loro affidato (Gv 13,34).

L'esistenza della comunità si rende indispensabile nell'ora di offrire un'alternativa alla società perversa.

Altrimenti tutto rimane in parole: proporre altre utopie che non si concretizzano mai... poiché manca lo stimolo primario, quello di un amore che si offre gratuitamente.

La comunità è la piattaforma da dove parte la missione. Prima di tutto bisogna attirare gli uomini verso l'alternativa, proponendo una forma di vita diversa basata su rapporti fraterni e solidali e offrendo una testimonianza evangelica credibile.

Un altro aspetto della comunità è il suo impegno a favore delle situazioni di bisogno in cui l'umanità si trova. L'annuncio evangelico è accompagnato da segni che comunicano vita (guarigioni).

 

Come impostare la missione

In Gv 21,1-14, nella scena della pesca dei discepoli, abbiamo la descrizione su come impostare la missione della comunità.

Sul lago non si trovano più dodici discepoli (numero che riguarda il popolo dell'antica alleanza), ma soltanto sette: la nuova comunità dei discepoli aperta al futuro ("settanta" era il numero delle nazioni pagane) e al mondo intero.

Uno dei sette discepoli (Pietro) propone di andare a pesca, e gli altri lo seguono... essi passano tutta la notte nell'intento di pescare ma non ricavano nulla.

La "notte", in Giovanni, è sempre figura dell'incapacità a percepire l'amore di Dio, non essere capaci di aprire gli occhi a quella realtà di amore che Dio ha manifestato in Gesù.

Per questo il racconto della pesca è figura della missione della comunità.

La missione sarà sempre infruttuosa se prima non si accetta come norma di vita quell'amore che Dio ci ha mostrato in Gesù.

Nel primo mattino, Gesù va incontro al gruppo dei discepoli... e chiede loro se hanno qualcosa da mangiare, da mettere insieme al pane.

La risposta è negativa perché non sono riusciti a pescare nulla (di notte non si pesca... poiché la notte indica che si ignora completamente l'amore di Dio).

Gesù li fa prendere coscienza dell'inutilità della loro fatica, ma allo stesso tempo li anima a gettare ancora una volta le reti.

Seguendo tale suggerimento i discepoli raccolgono un'infinità di pesci. Ciò dimostra che la missione avrà esito positivo quando sarà fatta in sintonia con Gesù, con la sua parola.

Soltanto nella luce di quel mattino (luce = vita = amore), cioè, prendendo come norma di vita l'amore che essi ancora non hanno manifestato si può trovare frutto nella missione.

È molto importante in questa scena l'allusione al pane; esso si mostrerà come figura dell'eucaristia.

Gesù ci dona il pane (la sua vita) ma bisogna accompagnarlo con qualcosa altro (il nostro impegno di amore).

L'eucaristia è il dono che Gesù fa della sua persona, si offre come cibo, allo stesso modo la comunità non può celebrare l'eucaristia se non aggiunge la sua parte di cibo (pesce), cioè se non si dona agli altri.