CATECHESI DI P. JUAN MATEOS S.J.

SUL TRIDUO PASQUALE

VENERDÌ SANTO

(GRANADA, Spagna, 1982)

 

Qualità della morte di Gesù

       Dobbiamo iniziare dalla missione di Gesù e capire chi sono coloro che lo condannano a morte.

La morte di Gesù non è una morte qualunque. A volte si dice che tanti altri morirono in croce e in condizioni peggiori (capitava che 2000 persone venissero crocifisse nello stesso giorno), oppure che ci sono tanti altri eroi nella storia dell'umanità.

Altri invece obiettano quella morte infamante di Gesù..., ad esempio i buddisti che si vantano della morte rispettabile e veneranda del loro maestro, oppure quelli che la paragonano alla morte di Socrate e la sua serenità nel bere la cicuta…

Bisogna comprendere in modo corretto il significato della morte di Gesù, prima di tutto il motivo di tale condanna e poi chi furono gli esecutori.

Gesù è l'Uomo-Dio, dal momento in cui riceve lo Spirito nel Giordano (Mt 3,13-17) egli possiede la pienezza dello spirito del Padre, egli è uguale al Padre. Spirito vuol dire "forza", "vento", la forza dell'amore divino, e significa anche "alito", ciò che procede dall'intimo dell'essere; in questo senso è lo Spirito che comunica la vita del Padre su Gesù che è il Figlio.

Dal momento del suo "battesimo" Gesù possiede la stessa capacità di amare che ha il Padre. Si tratta di un amore senza limiti e senza fine. Gesù è "l'Uomo", la pienezza dell'umanità, il culmine dell'umano, l'uomo per eccellenza, e perciò il Figlio di Dio. In Gesù si è realizzato il progetto di Dio sull'uomo.

Con la sua capacità di amare, Gesù deve compiere la sua missione: dimostrare che egli è l'uomo-dio sulla terra, e portare gli uomini alla loro pienezza umana. Gesù deve portare a compimento il progetto della creazione, cioè che l'uomo possa raggiungere la sua condizione divina. Per questo motivo Gesù dice che è incominciata una nuova epoca.

Gesù vive in un ambiente determinato: quello del popolo giudaico, l'antico popolo eletto con il quale Dio iniziò a sperimentare il suo progetto di salvezza.

Il fatto di essere chiamato "il popolo eletto" non vuol dire che sia esclusivo.

Nell'AT troviamo anche l'amore di Dio verso altri popoli (Egitto, Siria, Etiopia, Ninive), per cui è già presente l'universalità. Dio si sceglie un popolo, non perché disprezzi gli altri, ma per dare inizio in maniera concreta al suo progetto di salvezza per tutta l'umanità.

Israele è soltanto una tappa transitoria di quel progetto.

La salvezza di Dio è destinata a tutti gli uomini, così come troviamo nella promessa ad Abramo, "tutte le genti saranno benedette in te" (Gen 12,1-3).

Per questo motivo, nel momento in cui appare nella storia la figura di Gesù si dice che incomincia una nuova era per l'umanità: quella del passaggio dell'umanità dalla fanciullezza all'età adulta.

Gesù si viene a trovare con le istituzioni del popolo d'Israele che erano attribuite a Dio in persona: il tempio, l'alleanza, il sacerdozio, gli intermediari, il culto...

Tutto è fondato e organizzato, dicono, nella rivelazione antica di Dio, secondo la sua volontà. Ma allo stesso tempo tutto ciò mantiene l'uomo in uno stadio infantile, poiché è tutto imposto dall'esterno, non nasce dall'interno dell'uomo.

Con l'avvento di Gesù è tutto ormai finito... non c'è più bisogno di incontrare Dio in un locale determinato, poiché la sua dimora è la persona umana e lo si trova nei rapporti interpersonali. L'epoca dei templi è finita. Non c'è neanche bisogno dell'istituzione sacerdotale, incominciando dal sommo sacerdote che era l'intermediario fra Dio e gli uomini; ora il rapporto con Dio è diretto e immediato, l'uomo non ha bisogno di intermediari, ognuno può fare esperienza di Dio. Con Gesù inizia l'epoca adulta dell'umanità, perciò lui si sostituisce a tutte le istituzioni che mantengono l'abisso tra Dio e l'umanità.

Gesù insegna che l'antica alleanza basata sulla legge serviva a mantenere la separazione tra Dio e gli uomini, l'uomo è sempre un essere indegno...

Le leggi sulla purità (Lv 11-19) presentavano l'immagine di un Dio suscettibile che allontanava l'uomo a causa della sua impurità; compito dell'uomo era quello di stabilire cerimonie di purificazione (Lv 1-7) in modo di ricuperare l'accesso a Dio.

Anche tutto questo è finito. Adesso la nuova alleanza, che si rappresenta con l'immagine delle nozze -immagine di amore, di intimità e di festa-, non si basa più su di una legge esterna all'uomo, ma sul dono dello Spirito, l'effusione sull'uomo della stessa capacità di amare del Padre.

L'epoca del tempio e degli intermediari è finita, non solo perché era transitoria ma perché tutta l'istituzione religiosa giudaica era diventata strumento di oppressione del popolo.

Una delle azioni più eloquenti di Gesù nel Tempio sarà l'espulsione dei venditori e degli animali -pecore e buoi- (Gv 2,13-22).

Le pecore erano simbolo del popolo (Gv 10,1-16; Sal 23) e Dio si presentava come il loro pastore (Ez 34; Ger 23,1-4; 31,1-10; Zac 11,7). Quando Gesù caccia le pecore dal recinto del tempio sta dicendo: il mio proposito è far uscire il popolo da questa istituzione opprimente.

Il tempio di Gerusalemme era diventato un'azienda economica di fama mondiale. Da tutte le parti del mondo conosciuto d'allora arrivavano tre volte all'anno, per le feste principali, delle carovane cariche d'oro, frutto delle tasse che ogni giudeo doveva pagare. Il tempio era diventato una banca internazionale dove si realizzavano dei grandi affari (cambio di moneta, deposito, ecc.). Rovesciando i tavoli dei cambiavalute, Gesù si oppone a tutto questo; e quando manda via i venditori di colombe, egli denuncia lo sfruttamento dei più poveri: i poveri dovevano offrire in sacrificio delle colombe (Lv 5,7; 12,8) se volevano ottenere la purificazione, l'accesso al tempio. Ma tale purificazione era completamente falsa, tutta basata sul commercio che i sacerdoti facevano con il sacro, facendo pagare dei soldi a poveri in cambio dei riti religiosi che non avevano efficacia alcuna.

Quella situazione doveva finire. Solo l'uomo libero può diventare adulto, senza essere sottomesso a istituzioni che lo rendono infantile. Via la legge, via il tempio, via il culto...

Nell'episodio della Samaritana (Gv 4), quando essa pone la questione sul luogo ufficiale del culto, Gesù risponde: non c’è più luogo ufficiale perché l'epoca dei templi è finita. Dio non si trova in un luogo determinato né il culto a lui consiste in cerimonie, ma in spirito e verità (lo spirito è la forza di amare e la verità è la costanza di quell'amore=lealtà) perciò egli vuol dire che il culto che il Padre ora accetta è quello di un amore costante che si dimostra agli altri.

Il culto in spirito e verità ci rende simili a Dio. Non ci sono più umiliazioni legate all'indegnità dell'essere umano, bensì si tratta di un culto che nobilita l'uomo, perché fondato sulla pratica dell'amore. Il culto in quanto ritualità formale ed esterna è finito; il culto è la vita, l'amore che si concretizza nella pratica del vivere quotidiano, non ci sono altri culti diversi. Ciò che la comunità fa quando si raduna insieme è celebrare, festeggiare l'amore di Dio per noi; eucaristia non è un culto ma la celebrazione della festa.

Il programma di Dio, presentato da Gesù è che finiscano tutte le istituzioni antiche, affinché l'uomo sia libero e abbia una relazione personale e intima con Dio, senza intermediari.

In questo modo non valgono più i codici esterni, l'uomo è mosso da un impulso vitale interiore che lo porta ad avere una somiglianza progressiva con il Padre, mediante la pratica di un amore simile al suo.

Questa è l'età adulta dell'umanità.

Questo programma, ovviamente, troverà un'opposizione totale da parte dei fanatici della legge, coloro che sostengono che l'uomo non può trovare la sua strada se non è guidato dal di fuori. Nel colloquio tra Gesù e Nicodemo (Gv 3) troviamo questa incomprensione da parte dei rappresentanti della tradizione religiosa.

Nicodemo è un fariseo, uno molto pio, molto osservante e molto religioso; egli non comprende che l'uomo possa essere libero, ci vuole sempre la legge che faccia da guida.

Gesù gli vuole far capire che il regno di Dio e quello della legge sono opposti, non si può entrare nel regno di Dio mediante la legge.

La nuova società che Dio vuole per l'essere umano quella adulta e degna di lui, non si può ottenere con l'imposizione della legge ma con il cambiamento dell'uomo stesso; si tratta di nascere nuovamente -dallo spirito- ricevendo la nuova forza e l'impulso dell'amore che procede da Dio.

Tutti gli osservanti della legge sono contrari a questo programma, in primo luogo i sacerdoti che si sentono svuotati dal loro potere e dai loro privilegi. Se il culto non si deve celebrare più nel tempio, se i sacrifici non sono più necessari, allora salta per aria tutto un sistema religioso ed economico basato sullo sfruttamento del popolo.

Se i sacerdoti non hanno più l'esclusiva di Dio non sono più indispensabili, e nemmeno possono assoggettare le coscienze -e le tasche!- delle persone.

Sono finiti gli abusi "benedetti" dall'alto: tasse, decime, sacrifici, offerte, contributi....

Si capisce perché davanti a un simile panorama essi dicano: non se parli neppure!

I nemici più accaniti di Gesù e del progetto di Dio saranno gli osservanti della religione (farisei) e la gerarchia sacerdotale. Saranno i suoi nemici mortali, e saranno loro a portare Gesù sul patibolo.

La situazione che dovrà affrontare Gesù sarà carica di drammatismo, perché è in gioco, l'avvenire dell'uomo, che costui possa diventare una persona adulta ο che non lo diventi mai. Gesù sarà pronto a dare la propria vita per attuare il progetto di Dio, e non si stancherà mai di opporsi a tutte le istituzioni giudaiche.

L'istituzione giudaica è il prototipo di ogni istituzione. Se Gesù fosse vissuto in Grecia ο in Roma lo scontro sarebbe stato lo stesso. Solo che la situazione dell'istituzione giudaica era più grave poiché avendo ricevuto la rivelazione divina si è completamente chiusa in se stessa.

L'ambizione e la sete di potere hanno ostruito il passo a quella rivelazione. Con la loro fama di santità i pii osservanti dominano il popolo, mentre i sacerdoti e i chierici lo fanno attraverso il tempio e il culto obbligatorio.

Il compito dell'istituzione giudaica era quello di portare il popolo verso un progressivo avvicinamento a Dio, invece essa è diventata una struttura di potere che usa il popolo per conservare i propri privilegi e per aumentare il proprio prestigio.

I rappresentanti dell'istituzione (i Giudei) sono i nemici peggiori del progetto di Dio; inoltre essi sono coloro che hanno il sapere, è gente istruita (scribi e dottori della legge) e pertanto in grado di manipolare la Scrittura stessa. Conoscendo a memoria la legge e i profeti, gli scribi e i dottori non potevano ignorare che Dio si è manifestato nella storia d'Israele come un Dio liberatore (dall'Egitto, dalla Babilonia), né come la sua attività principale è stata quella di schierarsi sempre dalla parte degli oppressi e degli umili (Es 22,20-26; 23,9; Lv 19,33; Dt 10,18-19; 24,17-22; 27,19).

Il libro di Isaia ha delle pagine intere di denuncia contro i dirigenti, i principi, i sacerdoti, contro coloro che hanno l'autorità e che sfruttano il popolo, rappresentato dalla vedova e dall'orfano (Is 1,17.23; 9,16; Ger 7,6; 22,3; 49,10-11; Ez 22,7).

Tutto questo le persone istruite nella Scrittura dovevano saperlo, ma fanno finta di niente, leggono e commentano soltanto i brani dell'AT che interessa loro, ciò che conviene al ruolo che occupano; il resto va messo da parte. Per questo motivo essi non sopportano i discorsi di Gesù davanti alla gente, né le sue azioni, e decideranno fin dal primo momento di farlo fuori, eliminarlo.

Nel vangelo di Giovanni abbiamo due episodi paradigmatici sulla liberazione che Gesù compie fra la sua gente: la guarigione del paralitico (Gv 5,1-18) e del cieco dalla nascita (Gv 9).

Ambedue i casi rappresentano la situazione di oppressione in cui il popolo si trova: incapace di camminare e di scegliere la strada, impossibilitato a vedere e a capire cosa significa essere uomo davvero.

Gesù interviene ridando la libertà al paralitico: la capacità di alzarsi e di camminare per la sua strada; e aprendo gli occhi al cieco gli mostra il progetto di Dio sull'umanità.

Non solo viene dato all'uomo la capacità di camminare come persona libera, ma viene anche mostrato un progetto di pienezza di vita affinché egli sappia indirizzare bene la sua esistenza.

Queste due azioni di Gesù non gli saranno mai perdonate da parte delle autorità religiose, che cercheranno i mezzi adatti per ucciderlo (Gv 5,18).

Ma Gesù sarà rifiutato anche dal popolo poiché deluderà le attese politico-nazionalistiche della sua gente. È inaccettabile un Messia che deve finire come un criminale... (Gv 12,34) il popolo voleva un Messia vittorioso, forte, capace di restaurare la gloria di Israele.

Gesù invece si presenta in modo diverso e rivela che con la sua morte avrà inizio la salvezza dell'umanità. Il popolo non comprende che la salvezza non proviene dal potere di una persona sola ma dall'amore di tutti. Gesù è il primo che inizia l'opera di salvezza ma ha bisogno dei collaboratori per portarla avanti, questo è il compito della comunità, resa capace di tale collaborazione mediante il dono dello Spirito.

La gente si aspettava un Messia potente che, mediante un "colpo di stato", cambiasse tutta la situazione politica, religiosa e sociale della nazione. Secondo la loro mentalità nazionalistica si pensava che Dio sarebbe intervenuto miracolosamente nella storia del suo popolo.

Niente di tutto ciò... l'unica strada possibile per attuare il Regno di Dio è quella dell'amore profondo e costante di cui Gesù è il modello. Non ci può essere salvezza se dalla nostra parte non c'è l'impegno a mettere in pratica un amore come quello di Gesù.

Si tratta di un impegno a collaborare con lui... così come viene espresso in Gv 12,32: "...quando sarò elevato in alto attirerò tutti a me". Gesù ci porta al suo stesso livello affinché sappiamo donarci agli altri come lui ha fatto.

Invece di un impegno a collaborare, ad amare gratuitamente gli altri, la gente preferisce un tiranno, anche se pieno di bontà, che risolva tutti i loro problemi e possa assicurare una vita tranquilla. Certamente Gesù si rifiuta di accettare una manipolazione del genere.

Le difficoltà che Gesù deve affrontare non provengono soltanto dalle alte sfere che non tollerano il sovvertimento dei loro schemi ideologici e delle loro strutture di potere: i capi non ammettono che le persone diventino libere, autonome e indipendenti.

Ma anche dalla parte del popolo c'è il rifiuto: la libertà fa paura e complica l'esistenza.

Come risposta, Gesù vuole dare ancora un altro segno: la risurrezione di Lazzaro (Gv 11,1-44). Si tratta di un evento di particolare importanza perché con esso si vuole affermare che la morte non ha l'ultima parola sull'esistenza dell'uomo. La vita che Gesù comunica è in grado di vincere la morte stessa. La morte fisica non è la conclusione finale dell'uomo, per cui bisogna non avere paura di essa.

Il fondamento di ogni potere risiede nella paura che scatena sugli altri, sopratutto nella paura di morire. Tutti i distintivi del potere sono distintivi di morte: armamenti, censure, minacce, ricatti... Il potere si rende tale perché l'uomo ha sempre paura di morire; di conseguenza ogni potere perde la sua consistenza quando Gesù ci libera dalla paura della morte ("...chi perde la propria vita è colui che la salva..."). Gesù ci comunica una vita indistruttibile; chiunque aderisce al suo messaggio non farà mai esperienza della morte (Gv 11,25-26).

Davanti a questo insegnamento e al modo conseguente di agire che Gesù dimostra, il Consiglio Supremo Giudaico, rappresentato dal Sommo Sacerdote, si raduna per prendere delle posizioni: se non si provvede al più presto tutta la nazione andrà in rovina... è meglio che uno solo perisca. Decidono di condannare a morte Gesù. Ciò che veramente conviene è che Gesù non continui la sua opera di liberazione del popolo, altrimenti tutta la gerarchia va in rovina.

Nel racconto della cattura di Gesù, l'evangelista Giovanni mette in evidenza la violenza del potere stesso. Vanno ad arrestare un uomo inerme, ma per farlo mobilitano tutte le forze disponibili: un distaccamento di soldati romani e delle guardie fornite dai sommi sacerdoti e dai farisei (Gv 18,3).

I rappresentanti della religione preferiranno che sia Pilato a dare sentenza su Gesù; essi sono consapevoli dell'ingiustizia che stanno per compiere e dicono: "a noi non è consentito assassinare nessuno" (Gv 18,31).

I capi religiosi confessano che si tratta di un assassinato, ma si nascondono dietro la loro legge (Dt 5,17: "...non uccidere..."). Poi, davanti alla scelta tra Gesù e Barabba, preferiscono la liberazione di Barabba...

L'istituzione giudaica, in quanto sistema violento, preferisce il brigante e rifiuta Gesù che non ha mai fatto uso della violenza; ancora una volta si dimostra la corruzione del potere nonostante la sua "legalità" e la "sua benedizione dall'alto".

Un altro elemento sulla dinamica perversa del potere lo troviamo nella derisione che i soldati fanno a Gesù, incoronandolo di spine e rivestendolo con la porpora e lo scettro. Si tratta della ridicolizzazione della regalità. E Gesù accetta, poiché così dimostra il vero significato dei simboli del potere umano.

La regalità, secondo i vangeli, è qualcosa di ben diverso. Essere re significa essere "Signore", cioè libero in quanto nessuno è al di sopra di costui: l'uomo indipendente, autonomo e libero.

Per questo Gesù dice: "Io sono re" (Gv 18,37) e non "il re", perché tutti gli uomini devono diventare "re", nel senso di indipendenza, autonomia e libertà.

Gesù tollera ciò che i soldati fanno alla sua persona, cioè ridicolizzare le pretese di grandezza umana, la falsa superiorità del potere. Gesù invece si presenta come l’Uomo, colui che è capace di donarsi fino in fondo. L'uomo raggiunge la sua regalità, la sua grandezza quando è capace di amare senza paura di niente e di nessuno.

I capi religiosi chiedono, in nome della legge, la morte di Gesù.

La legge di Mosè vietava il considerarsi "figlio di Dio" (la pienezza dell'uomo). Gesù è figlio dell’uomo e figlio di Dio.

Non si può essere figlio di Dio se prima non si è pienamente uomo.

La legge si dimostra così incapace di rendere l'uomo maturo, non permette la pienezza dell'essere umano, la sua figliolanza divina. La Legge si presenta come il grande nemico dell'uomo, lo strumento di potere nelle mani dei capi religiosi.

Gesù viene crocifisso e con lui ci saranno altri due, uno da una parte e uno
dall'altra.

Mentre gli altri evangelisti (Mt 27,38; Mc 15,27; Lc 23,33) dicono che si
tratta di due banditi e che vengono collocati uno alla destra e uno alla sinistra, nel
vangelo di Giovanni si dice soltanto che erano due, uno da una parte e uno dall'altra.

Non ci sono più precedenze (destra, sinistra...) poiché essi sono i compagni del re,
coloro che hanno raggiunto la regalità come Gesù. Essi sono figure dei discepoli che
hanno consegnato la propria vita in modo simile a Gesù.

Sulla croce di Gesù viene messa una iscrizione, uno scritto che di nuovo allude alla regalità del crocifisso.

È molto importante notare l'insistenza che l'evangelista dà al verbo "scrivere" (Gv 19,20-22).

L'espressione "era scritto" è quella tipica degli evangelisti per citare l’ΑΤ (cf. Gv 2,17; 6,31.45; 10,34; 12,14.16; 15,25) e viene usata ora per l'iscrizione della croce, "il titolo", come se la croce fosse un libro.

I sommi sacerdoti rifiutano ciò che era scritto sul "titolo", anche perché tutti potevano leggerlo (era scritto in ebraico, greco e latino, e il patibolo era vicino alle porte della città).

Questi versetti sono di somma importanza, in essi si afferma che l'antica scrittura (antico testamento) non è più "scrittura"... La nuova scrittura è quella che dice: Gesù Nazareno, Re dei Giudei.

Il contenuto di quel libro, ciò che la croce è diventata, è la persona stessa di Gesù crocifisso, l'uomo che consegna la sua vita per salvare gli altri. Non esistono altre scritture.

La nuova scrittura che è Gesù, sostituisce tutte quelle di prima.

Questa scrittura non è rivolta a un popolo in particolare, ma ha una dimensione universale, per questo si dice che il titolo della croce era scritto nelle tre lingue più importanti del mondo conosciuto da allora: ebraico, greco e latino. Se l'antica scrittura conteneva il codice della legge, quella nuova, istaurata da Gesù, contiene un codice completamente differente: l'uomo che muore per gli altri.

La norma di vita dei credenti non si trova scritta nelle pagine di un libro, ma nella persona di Gesù che dona se stesso per amore dell'umanità. In questo senso si capisce la risposta che Pilato dà ai sommi sacerdoti (i quali non accettavano simile iscrizione sulla croce di Gesù, cf. Gv 19,21): "ciò che ho scritto, scritto rimane". La nuova scrittura che è Gesù rimane tale per sempre.

Tutto quello che nell'AT non coincide ο non è in sintonia con la nuova scrittura donata da Gesù, non è più utile per noi.

Gesù è la sintesi dell'antica e della nuova scrittura. Ciò che è in disaccordo con la parola di Gesù possiamo gettarlo via. Non si parla più di un libro ma di una persona, che diventa modello per tutti noi. Gesù è la nostra norma di vita, e così si rivolge ai suoi: "amatevi l'uno l'altro come io ho amato voi..." (Gv 13,34).

Il racconto della passione in Giovanni finisce con un ultimo intervento di Gesù dalla croce ("Ho sete") per adempiere fino in fondo il testo della Scrittura.

Il testo a cui l'evangelista si riferisce è quello già citato da Gesù stesso durante la cena: "...perché si adempisse la parola scritta nella loro Legge: mi hanno odiato senza ragione..." (Gv 15,25).

Gesù, durante la cena con i discepoli, ha accennato alla loro legge... egli non parla mai della nostra legge. La legge non può esser sua poiché è diventata strumento di oppressione del popolo.

In questo testo troviamo due messaggi:

il messaggio di Gesù che significa amare fino al dono della vita

il messaggio del sistema giudaico che è odiare fino a togliere la vita.

Odiare vuol dire disprezzare, l'odio verso l'altro significa il suo disprezzo.

Verso Gesù l'odio diventa mortale, fino a togliergli la vita.

Tale è il meccanismo diabolico di ogni sistema di potere: disprezzare fino a togliere la vita.

Nelle ultime parole di Gesù sulla croce troviamo un ulteriore invito ai carnefici a dimostrare un minimo di umanità... Gesù è in punto di morte; i boia sono le autorità di Israele, tutte, quelle religiose come quelle civili danno morte a Gesù.

Dove c'è il potere c'è il nemico di Dio.

Gesù prova ancora a dare loro un'ultima opportunità.

Davanti a un moribondo che chiede da bere essi possono compiere un gesto di compassione, Gesù non dimostra odio ο rancore alcuno, chiede soltanto da bere.

Invece di un gesto di umanità, Gesù riceve l'ultimo gesto di odio totale: gli porgono una spugna imbevuta di aceto; egli accetta l'aceto senza reagire con l'odio.

Fino all’ultimo momento Gesù ha dimostrato il suo amore, la sua volontà di dare la propria vita, e perciò dice: "è compiuto..." (Gv 19,30).

Ciò che raggiunge il compimento è l'essere umano.

L'uomo è come Dio poiché ha dimostrato un amore simile al suo.

Nel suo ultimo gesto, Gesù ha dimostrato di amare come Dio ama, senza limiti né condizionamenti alcuni, con un amore che mai cessa né si stanca.

In Dio non si trova rancore, vendetta, punizione... tutto questo riguarda un'idea falsa di Dio, anche se provengono dall'AT.

Dio è soltanto amore.

In Gesù si manifesta la stessa qualità di amore che Dio ha per l'uomo. In una atmosfera di odio, dove Gesù riceve insulti e disprezzi, dove gli tolgono la vita, la sua unica reazione è quella dell'amore verso coloro che lo uccidono. È questa la vera realizzazione dell'uomo, quando sviluppa fino in fondo la sua capacità di amare.

Ognuno riceve questa capacità dallo Spirito di Dio, ma bisogna saperla sviluppare in un processo continuo, attraverso un comportamento che assomigli sempre di più a quello di Gesù. Tale sviluppo comporta la progressiva scomparsa di tutte quelle altre reazioni che non sono amore, come l'odio, il rancore, la vendetta...

Nell’uomo che risponde solo con l'amore, la creazione ha raggiunto il suo compimento. Per questo la morte di Gesù non è la scomparsa di una persona, ma il trionfo del progetto di Dio.

Fino al secolo V, la celebrazione del triduo pasquale veniva chiamata: "la trionfante celebrazione di questi giorni", non c'era lutto né atteggiamento di dolore ma il trionfo del progetto di vita.

Dopo che Gesù ha detto: "è compiuto", chinò il capo e consegnò lo Spirito (Gv 19,30), la stessa forza di amore che il Padre gli aveva comunicato.

Non si parla di morte... ma del dono dello Spirito, è come se l'umanità di Gesù gli fosse scoppiata dentro e non la potesse più contenere e così la comunica a tutti, con il suo Spirito, con la sua stessa forza vitale.

Gesù aveva detto ai discepoli: "se il chicco di grano caduto in terra non muore rimane solo; se invece muore produce molto frutto..." (Gv 12,24). Ecco la fecondità enorme del suo amore, capace di portare salvezza a tutta l'umanità.

Tale comunicazione di amore viene descritta nella scena del colpo di lancia (Gv 19,34).

Il fatto che l'evangelista stesso intervenga con una sua dichiarazione: "chi ha
visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera..." (19,35) vuol dire che tutta
la scena è altamente simbolica.

Il fatto di parlare del "costato" di Cristo richiama il racconto di Genesi 2,18-23 sulla creazione di Eva dal costato di Adamo.

Ora è Cristo il nuovo Adamo e con lui inizia la nuova epoca dell'umanità. Dal suo fianco nasce la nuova comunità.

Come Adamo si era addormentato e dal suo costato fu creata la donna, ugualmente Cristo -da cui non si dice che morì ma "chinò il capo", come se si addormentasse- fa nascere dal sangue e dall'acqua scaturiti dal suo
costato la nuova Eva: la comunità dei credenti.

Il sangue è simbolo dell'amore gratuitamente dimostrato, l'amore manifestato fino alla fine. L'acqua invece è simbolo dello Spirito (Gv 7,37-39), la forza vitale, quella con la quale si comunica l'amore.

Così come la prima Eva era ossa delle ossa di Adamo e carne della sua carne, adesso la nuova Eva è spirito dello spirito di Gesù.

La comunità dei credenti è il gruppo umano che ha ricevuto lo Spirito e segue Gesù con la stessa forza vitale.

La comunità possiede la stessa capacità di amare e di donarsi che Cristo ha, per questo il rapporto tra la comunità e il Signore è di assoluta intimità.

Non bisogna fare, però, di questo amore una legge; l'amore significa crescita continua, ed a ciò si riferiscono le parole del Signore: "bisogna nascere di nuovo" (Gv 3,3), nascere dallo Spirito.

Dobbiamo riconoscere che non siamo ancora all'altezza di amare come Gesù ci ama, e così essere disponibili a continuare la nostra crescita e maturazione.

Ci si nasce di nuovo, ma siamo sempre vulnerabili, bisogna crescere e saper consolidare quella nuova realtà vitale che è in ognuno di noi.

Diventa fondamentale in questo sviluppo non perdere mai di vista l'atteggiamento di Gesù, l'uomo inchiodato sul legno che continua a effondere dal suo costato sangue e acqua, che ci comunica continuamente e gratuitamente il suo amore.

Il nostro compito è quello di camminare in questa strada, tracciata da Gesù, e che ci porta alla pienezza umana.