Per gentile concessione dell’autore

L’entrata di Carlo III in Napoli dal libro RUM MOLH di Pier Tulip

Carlo di Borbone, figlio di Filippo V Re di Spagna e di Elisabetta Farnese, dall’età di quattordici anni è Duca di Parma e Piacenza con il nome di Carlo I , e a diciotto anni viene inviato a conquistare il regno di Napoli con un esercito di quarantamila uomini.

 È il mese di aprile 1734, e dopo varie tappe, fra cui Perugia e Monte Rotondo, si appresta ad entrare in Campania. Invia un proclama ai napoletani in cui annuncia che sta scendendo a liberarli dall’oppressione e dal malgoverno austriaco.

Il Viceré a Napoli, il Conte Visconti, va in apprensione e convoca il Consiglio di Guerra. Viene deciso di mandare il grosso delle truppe a disposizione verso Piedimonte San Germano, sotto Monte Cassino, per fare da argine all’avanzata. Ad esse si uniscono altre truppe provenienti dalla Sicilia e da Trieste formando un esercito di 12.000 uomini. Viene rafforzato il castello di Gaeta e quello di Capua.

Ma senza l’aiuto della popolazione una guerra è persa in partenza. Il Visconti si rende conto che non riceverà nessun aiuto dai nobili e dai cittadini napoletani per cui, invece di andare verso il fronte, decide di allontanasi verso Bari. Qui avrà due possibilità: se fossero arrivati rinforzi via mare dall’Istria sarebbe rimasto, altrimenti sarebbe scappato. Portando con sé circa quattromila soldati rastrella tutto ciò che possa essere d’aiuto all’esercito invasore, compresi viveri e foraggi. A Napoli ha già rastrellato tutta la liquidità disponibile.

Carlo arriva a Frosinone e trova buona parte della borghesia e degli amministratori napoletani pronti a manifestare sudditanza. Presto giunge a Cassino senza trovare alcuna resistenza, perché gli austriaci si sono spostati in Puglia in attesa di rinforzi.

 

Carlo Borbone

Il giorno dopo Carlo riprende lentamente la marcia insieme all'armata, fermandosi continuamente per esercitare il suo sport preferito, la caccia, e, senza nessuna opposizione, giunge a Maddaloni e poi, il 10, arriva ad Aversa dove decide di fermarsi nel palazzo Della Valle, insediare il suo quartier generale e attendere fino a che l’ultima resistenza sia annientata. Anche qui viene accolto da un’altra deputazione di notabili, fra cui una rappresentanza dei Magistrati di Napoli. Ad essi Carlo fa naturalmente un discorso politico programmatico accondiscendente, promettendo che Filippo di Spagna, suo padre, manterrà tutti i privilegi acquisiti e sopprimerà tutte le imposizioni stabilite dal passato governo.

L’11 aprile, il Conte di Montemar entra a Napoli e il Conte di Charnì viene nominato Viceré fino all’arrivo del nuovo Re. Solo i cinque castelli di Napoli, il Castel dell'Ovo, il Castel Nuovo, il Castello di Sant’Elmo, la Torre di San Vincenzo e il Torrione dei Carmelitani, oppongono resistenza.

Per mare il Conte Clavyo si impadronisce dei porti di Ischia, Procida e Napoli, facendo sbarcare munizioni e vettovagliamento per le truppe di terra spagnole. Il Castello di Sant’Elmo si arrende per primo il 27 di Aprile, gli altri si arrendono uno dopo l’altro fino al Castel Nuovo che si arrenderà per ultimo.

Il mattino del 10 maggio Carlo di Borbone entra trionfalmente a Napoli da porta Capuana, seguito dai suoi generali.

Carlo viene accolto con grande esultanza dal popolo, anche perché il tesoriere precede il corteo spargendo per la strada monete “di argento e d’oro”.

Il nuovo Re decide, però, di non proseguire subito, ma di fermarsi in preghiera in un monastero fuori porta, San Francesco di Paola, dove ringraziare il Signore e riposarsi.

La chiesa del monastero di San Francesco di Paola si trova proprio fuori porta Capuana, sarà abbattuta e il convento trasformato in Prefettura ad inizio ‘800, e non deve confondersi con la chiesa omonima che sarà costruita il secolo dopo nello spazio davanti al palazzo reale degnamente incorniciando quella che sarà chiamata Piazza del Plebiscito.

Alle quattro del pomeriggio dello stesso giorno Carlo esce riccamente vestito e montato a cavallo, anch’esso riccamente bardato, entra definitivamente in città.

Il corteo passa davanti alle carceri della Vicarìa in Castel Capuano e Carlo fa liberare i prigionieri, quindi avanza per lo stretto decumano di via dei Tribunali e va al Duomo dove riceve la benedizione del Cardinale Pignatelli, assiste alla messa e regala una preziosa croce per il tesoro di San Gennaro.

All’uscita il corteo prende poi il decumano inferiore, passa per piazzetta Nilo con la statua del fiume omonimo, già detta Corpo di Napoli perché senza testa, e prosegue per piazza san Domenico e Piazza del Gesù, passando davanti alla trecentesca, ma barocca, chiesa di Santa Chiara e al bugnato della facciata del Gesù Nuovo.

Il corteo si immette poi su via Toledo, costruita dagli spagnoli nel secolo precedente abbattendo il muro di cinta aragonese che chiudeva a Ovest la città. Passa per il carcere di San Giacomo, presso l’omonimo ospedale, anche qui facendo liberare i detenuti, e lasciando a destra il quartiere spagnolo costruito nel secolo precedente ai limiti della collina di San Martino.

Tutti i balconi sono addobbati con le più belle lenzuola e copriletto ricamati, come quando passa una processione religiosa; la città in festa lo accompagna fino alla reggia ormai poco distante.

Il 14 maggio anche San Gennaro accoglie il nuovo Re con la liquefazione del suo sangue.

Michele Foschini: L’arrivo di Carlo a palazzo reale

 Carlo trova una capitale che è la più popolata d’Europa, dopo Parigi: anche dopo la decimazione avvenuta nel secolo precedente per un’epidemia di peste, fa oltre 400.000 abitanti, principalmente ecclesiastici, perché Napoli è la città delle chiese e dei monasteri e conta oltre 40 parrocchie.

Ma trova anche questa realtà descritta da Maximillien Misson: “Non vi si vedevano donne e questa era nascondere con ridicolezza ad un Viaggiatore la più bella metà degli Abitanti. Gli abiti e gli equipaggi erano neri e bruni, il che rattristava l’occhio, e vi era proibito di portare oro argento e seta. I più gran Signori non potevano avere più di due staffieri e la maggior parte delle carrozze erano trascinate da muli. …. Il commercio di Napoli era del tutto decaduto e non vi si faceva che sapone, tabacco in polvere, calzette ed altre opere di stame… I Napolitani anche nell’esteriore del loro corpo dimostrano di avere un’analogia con i Greci. Essi hanno come questi il petto largo ed avanzato, le spalle ben collocate, il collo corto e grosso, una grassezza di viso tondo, di bella carnagione, l’occhio bello e vivace” e “hanno per uso di andare colle spalle, il petto e le braccia quasi nude”.

Una città grande come Napoli piena di celibatari è un attentato allo stato coniugale. La prostituzione è abbondante come a Roma e l’amministrazione cerca da tempo di confinarla in luoghi appartati.

Molte donne fanno le mantenute e passano da una mano all'altra, le altre serbano una certa decenza e si contentano per lo più di due amanti: uno ricco che paga e un altro che vogliono sposare”.

Anche qui vi è un gran numero di servi perché costano poco e sono indispensabili, specialmente verso sera come accompagnatori, sia alle donne che agli uomini. Infatti è abbastanza pingue la classe dei disoccupati malviventi che sono chiamati “lazzari”, e vanno armati di coltello. Quasi tutti sono "esposti”, vivono sulle strade o sulla riva del mare, fra i pescatori di Santa Lucia o “luciani”, o al mercato la cui piazza si ricorda per la rivoluzione di Masaniello e per la decapitazione di Corradino di Svezia e vedrà le decapitazioni dei giacobini dopo la rivoluzione del ’99.

I lazzari se occupati espletano i mestieri più vili e tutto il loro avere si riduce ad una camicia e ad un calzone di tela e, quando non hanno dove dormire, si coricano sotto le panche dette anche "banche" per cui sono chiamati anche "banchieri". D'inverno aggiungono al normale vestito una giubba di lana grossa e imbottita di pelo che li copre dalla testa fino alla cintura. Mangiano in mezzo alle strade “maccaroni”, pesci salati, legumi, interiora di animali. Non posseggono niente, non acquistano niente e sono contenti del loro stato, oltretutto sono diventati celebri per l’appoggio alla rivoluzione di Masaniello.

Abbondano i mendicanti “e questo è effetto della antica costituzione e del clima”. Anche gli artigiani, che non sono riusciti a risparmiare niente, spesso diventano mendicanti in vecchiaia.

La classe media è formata da magistrati, in gran numero perché servono tutta la regione, dai commercianti, principalmente di stoffa e accessori per l’arredamento, come sedie e tavoli, e dai bottegai e cantinieri.

A Napoli il caffè ha sostituito il vino; le botteghe di caffè sono piene tutto il giorno di persone che chiacchierano, giocano a carte, le quali vengono fittate a causa del loro alto costo essendo fatte a mano, o guardano il passeggio. Abbondano anche le gelaterie.

Da qualche anno è molto apprezzata per uno spuntino veloce una variante della focaccia condita con olio, pomodoro, aglio e origano: la pizza napoletana, alla marinara, così chiamata perché i pescatori di Santa Lucia al ritorno dal mercato vi aggiungono i piccoli pesci invenduti.

Lazzari che giocano a carte
 

Pizzaiolo

Impagliasedie

 

Altri mestieri non prevedono una bottega e sono ambulanti: acquaiola e acquavitaio, arrotino, capèra (parrucchiera e spidocchiatrice), cardalana (per rigenerare la lana ammassatasi nei materassi, per chi può permettersela), ciabattino, conciategami, franfelliccaro (venditore di dolciumi), impagliasedie,

lavandaia, lustrascarpe, merdajuolo (proprio così, raccoglitore di feci di ogni tipo per uso di concime), muzzunaro (raccoglitore di mozziconi di sigari per rigenerarli), oliandolo, ostricaro, pizzaiuolo, sapunaro (venditore di sapone e panni vecchi), scrivano (non proprio ambulante ma con postazione all’aperto), tessitrice, venditore di polpi, venditore di robe vecchie, venditore di spighe e praticamente un venditore per ogni genere commestibile.

 

 Un’unica battaglia per il possesso del regno di Napoli si svolge a Bitonto 15 giorni dopo l’ingresso di Carlo a Napoli. L'esercito spagnolo, comandato dal generale Montemar, sconfigge quello austriaco, guidato dal Principe di Belmonte.

 

Il 15 di giugno Filippo V assegna a Carlo anche il regno di Sicilia. Il nuovo Re diventa per grazia di Dio Re delle due Sicilie e di Gerusalemme, duca di Parma, Piacenza e Castro, gran principe ereditario della Toscana.