Superamento del sacro e del profano: un passo decisivo nella conversione di Pietro.

di p. Josep Rius-Camps

 

In omaggio ad una tradizione millenaria, siamo soliti interpretare in chiave positiva tutti quei passi delle Scritture in cui compaiono i personaggi che noi oggi usiamo come modelli rispetto ai comportamenti negativi delle nostre comunità cristiane. È questo il caso di Simon Pietro. Sebbene abbiamo una descrizione dettagliata del suo allontanamento da Gesù allorché riscaldandosi accanto al fuoco nel cortile del sommo sacerdote (Lc 22,55) negò di essere discepolo del Maestro (22,57.58.60) che proprio in quel momento veniva interrogato nel Sinedrio, noi ci sentiamo sollevati quando più tardi ci verrà detto “egli, uscito fuori, pianse amaramente” (22,62) così da dimenticare il suo momento di debolezza. Lo sguardo di Gesù ed il ricordo di ciò che Gesù gli aveva predetto (22,61) sarebbe dovuto essere sufficiente a garantire che la sua contrizione era sincera e che, da quel momento, non l’avrebbe più rinnegato. Lo Spirito Santo giungendo a Pentecoste avrebbe poi sistemato ogni cosa, e ciò che Gesù non era riuscito ad ottenere durante la sua vita e la sua resurrezione, vale a dire, convincere i suoi discepoli a predicare il Regno di Dio a tutte le nazioni, evitando ogni discriminazione, lo Spirito Santo l’avrebbe concesso in un batter d’occhio.

Ma le cose non stanno così. Infatti, nel ritrarre Pietro nei due volumi del suo vangelo, Luca non tralascia alcuna occasione per evidenziare tutti i tratti negativi di questo molto focoso e ciecamente ostinato personaggio, non volendoci certo presentare una biografia di Pietro: al contrario, egli intende mostrarci i danni che la funzione di un capo può causare ad una comunità non ancora matura. Così, attraverso il profilo di questo personaggio, Luca fornisce un quadro degli eventi a cui andarono incontro le prime comunità giudeo-cristiane, che erano chiuse in se stesse ed erano totalmente refrattarie ad aprirsi al progetto universale di Gesù.

Uno dei momenti più importanti che si presenteranno a Pietro nel suo lento processo di “conversione” al progetto messianico di Gesù (non è una conversione personale, ma un processo di apertura ad uno spazio di libertà, senza confini razziali e religiosi) avrà luogo durante uno dei punti più critici del suo viaggio apostolico. Quando tutto sembrava indicare che le comunità di credenti in Giudea, Galilea e Samaria avessero ottenuto la pace (At 9,31), dopo la dispersione forzata della comunità ellenistica residente fino a quel momento in Gerosolima in conseguenza della spietata persecuzione scaturita dai fatti di Stefano (8, 1b), Pietro pianificò una visita pastorale alle comunità della Giudea (9,32).

Luca descrive la situazione di queste comunità presentando, come suo solito, tre personaggi rappresentativi al fine di fornire un profilo generale della situazione reale in cui esse erano immerse. La prima comunità visitata da Pietro, quella di Enea, era paralizzata dalla sua statica acquiescenza alla Legge (At 9,33); la seconda, quella di Tabità, era sul punto di morire -infatti muore- nonostante le sue opere buone e di carità (9,36-37); circa la terza, quella di Simone il conciatore (9,43), non ci viene detto nulla di negativo, anche se, da un punto di vista giudaico, essa è considerata impura, per il contatto con animali morti: perciò, “ha la casa presso il mare” (10,32), pronta al suo esodo al di fuori dell’istituzione religiosa. La guarigione di Enea si ripercuote positivamente sul ristabilimento delle comunità di Lidda e di Saron (9,34-35); la resurrezione di Tabità favorisce la conversione di molta gente a Giaffa (9, 40-42); nella casa di Simone, tuttavia, Pietro non solo non si vide costretto a risvegliare comunità paralizzate od a risuscitare comunità morte, ma “rimase a Giaffa per parecchio tempo” (9,43), mentre sarebbe stato più appropriato sostare nella casa di Tabità, a Giaffa, essendo stata rimossa la causa che ne aveva provocato la morte.

Da quanto descritto da Luca noi usualmente traiamo la lezione di un Pietro “taumaturgo” che guarisce un paralitico e resuscita una donna morta. In rapporto a Simone, il conciatore di pelli, non apprendiamo nulla. Se leggiamo in tale ottica, noi non facciamo alcuna connessione con il significato profondo di ciò che viene descritto. Nessuno si chiede perché Enea era paralizzato e perché la buona, e piena di premure, Tabità si era ammalata ed era morta; naturalmente noi non ci chiediamo che cosa Pietro ci facesse nella casa di un impuro (un conciatore) e perché Simone non soffriva di alcuna malattia o impedimento fisico. La questione diventa più complessa se prestiamo attenzione al prosieguo della storia. Il giorno dopo, Cornelio, un centurione romano di Cesarea, ha la chiara visione di un angelo di Dio all’ora nona (At 10,3; 11,13), precisamente alla stessa ora in cui un anonimo centurione riconobbe, stando a guardare Gesù ai piedi della croce, che l’uomo che era appena morto “certamente era innocente” (Lc 23,47); Pietro a sua volta “salì sul terrazzo per pregare, all’ora sesta. Egli ebbe fame e volle qualcosa da mangiare” (At, 10,9 d 05). L’ora “sesta” è quella in cui cominciò l’agonia di Gesù e le tenebre avvolsero tutto il mondo (Lc 23,44). Mentre il pasto veniva preparato (infatti più tardi apprenderemo che fino a quel momento egli non aveva toccato alcun cibo nella casa di quell’uomo impuro!), Pietro fece un’esperienza molto intensa, (una “visione”) che lo lasciò completamente confuso ( “che lo pose fuori di sé” ha un significato negativo, come perdere conoscenza, effetto di una forte resistenza interiore).

La descrizione di questa esperienza coincide in grande misura con l’esperienza che Gesù aveva avuto sul Giordano (Lc 3,21-22// At 10, 9-16; 11,5-10): “Il cielo fu aperto// il cielo si squarciò”, “lo Spirito Santo discese//qualcosa come un’ampia tovaglia venir giù” “una voce venne dal cielo//la voce del Signore”), quantunque il loro contenuto sia molto differente: Gesù aveva acquisito coscienza di essere il Messia di Israele; a Pietro fu mostrato il progetto della creazione, inclusi tutti gli animali, puri od impuri che siano. Le due esperienze sono collegate: Gesù esegue del tutto gli ordini ricevuti (“il cielo fu aperto”, Lc 3,21) circa il modo in cui il Messia doveva instaurare il Regno di Dio; Pietro, dal canto suo, oppone una vera e propria resistenza ad accettare il fatto che il progetto di Dio incarnato in Gesù (“egli vide il cielo aperto” At 10,11: cfr. 7,56D05) aveva rimosso le barriere ancestrali che discriminavano tra il popolo scelto e le nazioni pagane.

L’immagine della confusione (“cadere in estasi”) non è abbastanza idonea a descrivere al meglio la resistenza interiore di Pietro. Perciò, come di consueto, Luca introduce la “voce” a rendere chiaro il messaggio. Ha inizio un dialogo fra Pietro e la voce dal cielo – la voce di Gesù -, ma è un dialogo che non dà luogo ad una comunicazione reale. Pertanto, allorché la voce invita Pietro a sacrificare uno degli animali che appaiono nella visione, nella “ larga splendente tovaglia” (At 10,11 D05 + 11,5), e a mangiare, Pietro risponde: “Giammai, Signore; non ho mai mangiato nulla di profano e di impuro// niente di profano o di impuro è entrato nella mia bocca” (10,16; 11;10). Il dialogo fra Pietro e Gesù ha luogo ancora una volta. Finalmente, Pietro capisce che sta per rinnegare di nuovo Gesù, e desiste dal replicare.

Da questo momento in poi lo Spirito Santo potrà parlargli, dato che il principale ostacolo che impedisce alla sua voce di essere ascoltata è stato eliminato: la sordità, la testardaggine, la cecità al piano di Dio. Luca continua: “Pietro era molto confuso circa il significato della visione avuta” (At 10,17). Ed immediatamente gli uomini mandati da Cornelio apparvero, bussando alla porta. Ogni cosa era stata preparata con cura. Cornelio, un pagano, aveva avuto una chiara esperienza di Dio, al quale non aveva opposto resistenza. Allora aveva avuto il compito di mandare alcuni uomini alla casa di Simone, in Giaffa e di chiedere di un certo Simone che era anche chiamato Pietro, che era lì alloggiato (10, 5-6,18,32;11,13). “Pietro stava ancora ripensando alla visione, (prova che egli non aveva ancora dato un senso ad essa) quando lo Spirito gli disse: «Ecco, tre uomini ti cercano; àlzati, scendi e va’ con loro senza esitare, perché sono io che li ho mandati»”. (10, 19-20). Adesso appare evidente che gli uomini non furono mandati da Cornelio (cf. 10,7-8, 17b; 11,11), ma dallo stesso Spirito Santo! Appena prima avevamo appreso che preghiere ed elemosine di un pagano pieno di pietà e timoroso di Dio “erano salite al cospetto di Dio” (10,4). Ora egli ci lascia attoniti: l’iniziativa della missione ai pagani è supportata da un pagano che parla ed agisce ispirato dallo Spirito Santo. Quanto ironico risuona il detto che non vi è salvezza al di fuori della Chiesa! Questo è ciò che Pietro e gli apostoli allora pensavano, e che molti hanno continuato a sostenere per secoli.

L’incontro tra Pietro e Cornelio è tutto un poema. Cornelio, che rappresenta i pagani, lo sta aspettando come il padre del figliuol prodigo (vi sono impressionanti parallelismi fra i due racconti). Pietro, quantunque non abbia offerto resistenza a visitare la casa di un pagano (ha ricevuto la prima lezione stando in casa di un uomo impuro) e vi si rechi accompagnato da sei membri della casa del conciatore (At 11,12), finge di non sapere che egli deve predicare un messaggio di liberazione, “egli ti darà un messaggio con cui tu e la tua comunità sarete salvati”, come recita il messaggio dell’angelo a Cornelio, lo stesso messaggio che ora Cornelio ha inviato a Pietro (11, 13-14). Perciò, il parlare di Pietro non dice nulla di ciò: egli parla di Gesù come giudice della vita e della morte e del perdono dei peccati garantito ai credenti in lui (10, 42-43), ma non dice una parola circa la salvezza che i pagani si aspettano. È questo il motivo per cui lo Spirito Santo lo interrompe “mentre Pietro parlava” (10,44), o come lui testimonierà al cospetto della chiesa di Gerusalemme: “ed io avevo cominciato a parlare, quando lo Spirito Santo irruppe su di loro proprio come era successo per noi al principio” (11,15). Gesù e lo Spirito Santo, in accordo, aprono una breccia nell’enorme muro che la chiesa apostolica aveva eretto in Gerusalemme, chiudendosi in se stessa endogamicamente e lavandosi le mani della violenta persecuzione che aveva colpito i membri della chiesa ellenista.

Prima, il severo monito di Gesù, che aveva ricordato a Pietro il suo diniego e gli aveva fatto capire che stava per rinnegarlo una seconda volta; poi, l’intervento dello Spirito Santo, che interrompe il parlare di Pietro mettendolo di fronte al fatto compiuto. Finalmente, Pietro cede. Però egli è ben cosciente che deve ancora stare in guardia, dato che la chiesa di Gerusalemme potrà chiedergli conto di tutto ciò che ha avuto luogo. La presenza di sei membri della comunità impura di Simone, sia a Cesarea che a Gerusalemme (“anche questi sei fratelli vennero con me”, dirà ai circoncisi di Gerusalemme) sarà essenziale per la veridicità della sua testimonianza. Tuttavia, la piena testimonianza a discarico dovrà essere più forte.

La prima cosa che Pietro dovrà fare, divenuto conscio che, in virtù dell’effusione dello Spirito Santo sui pagani (At 10,45; 11,17), questi “saranno salvati attraverso la grazia del Signore Gesù Messia, proprio come noi” (15,11), sarà di “battezzarli nel nome di Gesù Messia” (10,48a). Attraverso il battesimo (un battesimo rituale), essi saranno integrati nella comunità dei credenti e così non avranno l’obbligo di essere circoncisi e diventare Giudei. Invitato dalla nuova comunità dei credenti pagani “a fermarsi per alcuni giorni” (10,48b), Pietro condividerà la tavola, e molto probabilmente anche l’Eucaristia, con gente non circoncisa, fatto che provocherà rabbia nei fratelli circoncisi di Gerusalemme, che discuteranno con lui dicendo: “Perché sei andato da uomini non circoncisi e hai mangiato con loro?” (11,2-3). Sebbene la notizia raggiunga la Chiesa apostolica e i fratelli di Giudea (At 11,1), Pietro non ci andrà subito. Il codice di Beza conserva una lezione antichissima, che oggi non si trova nel testo usuale: ”Allora Pietro, dopo diverso tempo, espresse l’intenzione di visitare Gerosolima: avendo raccolto tutti i fratelli, li confermò, insegnando in giro per quei territori con lunghi discorsi; finalmente giunse e parlò loro della grande generosità di Dio” (11, 2 D05). Pietro non solo fa trascorrere un certo tempo perché gli animi nella chiesa ufficiale di Gerusalemme si plachino (da notare che egli ha “espresso l’intenzione di visitare Gerosolima”, la comunità di base, differente da quella ufficiale identificata con il termine tecnico di “Gerusalemme”), ma in più ne approfitta per visitare le comunità di Giudea. Queste sono le comunità che egli aveva risollevato e resuscitato; Pietro adesso le “conferma” nell’adesione a Gesù e le libera dal giogo della Legge che le aveva paralizzate e ne aveva provocato la morte. Secondo il codice di Beza, Pietro esegue quanto Gesù gli aveva detto, ciò che nel testo di uso comune rimane a mezz’aria. Gesù disse personalmente a Pietro: “Quando tu sarai convertito, conferma i fratelli” (Lc 22,32). Pietro, una volta “convertito” al progetto universale di Gesù, “conferma” le comunità dei giudeo-credenti che sperimentano nella Legge la causa della loro paralisi e distruzione, con l’implicazione pertanto che la Legge e lo Spirito sono incompatibili. La comparsa di Pietro davanti alla Chiesa di Gerusalemme sta ad indicare che la comunità apostolica rappresentata da Pietro non ha affatto l’approvazione di tutta la Chiesa. Luca definisce “fratelli (sostenitori) della circoncisione” coloro che discutono con Pietro, il quale, come annunciato da Luca nel prologo del Vangelo (Lc 1,3), “cominciò a spiegare loro, passo dopo passo” (At 11,4). I silenzi e le aggiunte che Luca stabilisce fra il primo racconto, in stile narrativo nel capitolo 10, e il secondo, quello di Pietro di 11, 5-17, sono molto eloquenti. Enumererò le differenze più significative.

Al cospetto della chiesa di Gerusalemme Pietro non fa mai menzione del fatto di essere stato nella casa di Simone il conciatore, un impuro, allorquando aveva fatto la sua sconvolgente esperienza. Né dice una parola circa il motivo che lo aveva condotto lì; inoltre evita di dire che si era recato a Cesarea essendo stato chiamato da un centurione romano, Cornelio. Al contrario, si affretta a dire che “io cominciavo a parlare, quando lo Spirito Santo cadde su di loro” (11,15), chiarendo così che non era stato lui a prendere l’iniziativa, ma lo Spirito Santo. In aggiunta, Luca rivela adesso, per la prima volta, che Pietro “ricordò” (cioè, capì) le parole del Signore: “Giovanni battezzò con acqua, voi sarete battezzati con lo Spirito Santo” (11,16; Lc 3,16; At 1,5). Pietro, fino a questo momento, non ha ancora capito il significato dell’esperienza avuta a Pentecoste (“al principio”), che in quel tempo non aveva pienamente compreso: la novità dell’effusione dello Spirito Santo su tutti, senza discriminazione di razza o religione.

Il passo decisivo fatto da Pietro, e dagli apostoli con lui, nel comprendere la missione universale di Gesù (cfr. At 1,18), eviterà la condanna totale della chiesa di “Gerusalemme” (la chiesa ufficiale), quando si saprà della pratica di alcuni Ellenisti, Cirenei e Ciprioti, che giungendo ad Antiochia di Siria si erano messi a predicare in via diretta ai pagani la buona notizia di Gesù il Messia (11,20). L’apertura di Pietro alla causa dei pagani rende possibile la nascita della prima Chiesa “cristiana” di Antiochia, messa su da Giudei e pagani (11,26). Se Pietro non avesse fatto un tale passo, la missione ai pagani sarebbe stata grandemente ritardata.