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ANCORA SUL DIALOGO INTERRELIGIOSO:

COLLOQUIO TRA IL GESUITA CONDANNATO

E IL CARDINALE DEL DIALOGO

1982. KANSAS CITY-ADISTA. A quattro anni di distanza dalla morte di entrambi, la loro voce torna a farsi sentire: cristallina, chiara, senza ambiguità. È la voce di due giganti della più recente storia della Chiesa cattolica: quella del card. Franz König, già arcivescovo di Vienna, tra gli architetti del Concilio Vaticano II, e quella del teologo gesuita p. Jacques Dupuis, impegnato per una vita nel dialogo interreligioso e nel 1998 messo sotto processo dalla Congregazione per la Dottrina della Fede per le sue tesi critiche sul ruolo di Gesù come unico salvatore e sulla Chiesa cattolica come sola via di salvezza (v. Adista n.79/98). Voce, letteralmente, giacché la corrispondente a Vienna del settimanale cattolico inglese The Tablet Christa Pongratz-Lippitt ha rispolverato — e pubblicato sul settimanale cattolico Usa National Catholic Reporter (21/3), nonché sul mensile dei gesuiti tedeschi Stimmen der Zeit, mentre il Tablet ne pubblica una sintesi a firma Clifford Longley sul numero del 22/3 — la trascrizione di un colloquio che ebbe luogo tra i due nel luglio del 2003, dal quale emerge tutta la necessità e l'urgenza di dare al dialogo interreligioso l'importanza che merita e il sentimento di partecipazione e condivisione espresso dalle parole del cardinale nei confronti del teologo investigato dal Vaticano.

Dupuis, che dal 1984 insegnava alla Pontificia Università Gregoriana (prima ancora a Delhi) e dirigeva la rivista teologi­ca Gregorianum, venne infatti sospeso dall'insegnamento nel 1998 per le sue tesi riguardanti un modello teologico che “mostri — scriveva — come l'affermazione dell’identità cristiana sia compatibile con un genuino riconoscimento dell’identità delle altre comunità di fede in quanto costituenti di diritto aspetti differenti dell'autorivelazione del mistero assoluto in una sin­gola e unitaria, e tuttavia complessa e articolata, economia divina”. La “condanna” di Dupuis era un ennesimo indice della mal sopportazione, da parte delle istanze vaticane, della riflessione teologica proveniente dall’Asia e dall'India in particolare, come avevano già dimostrato i “casi” dei teologi Tissa Balasuriya, Aloyisius Pieris e Michael Amaladoss.


Quando teologia e istituzione dialogano

Questo il contesto del colloquio riportato dalla Pongratz-Lippitt. Nel luglio 2003, König chiamò la Pongratz — sua stretta collaboratrice e traduttrice in inglese degli articoli che il cardinale redigeva in tedesco — mettendola al corrente di una lettera ricevuta da p. Dupuis. Il teologo belga comunicava la sua intenzione di recarsi a Vienna per ringraziare de visu König per averlo difeso pubblicamente sulle pagine di The Tablet (i due, infatti, pur essendosi più volte parlati al telefono, non si erano mai incon­trati) e per proporgli due progetti: un articolo sul dialogo interreligioso con particolare riguardo all’Asia, alla luce degli ultimi documenti vaticani (in particolare la dichiarazione Dominus Iesus), e una recensione del suo ultimo libro, Christianity and the Reli­gions, che Dupuis aveva dedicato proprio al cardinale austriaco; progetti che König accettò con entusiasmo.

Questi, infatti, era stato, fin dall'inizio della querelle con il Vaticano, dalla parte di Dupuis, tanto che aveva scritto un arti­colo sul Tablet (16/1/1999), intitolato “In difesa di p. Dupuis”, nel quale aveva detto: “Non posso restare in silenzio. La Congregazione per la Dottrina della Fede si è mossa troppo in fretta e troppo presto... Come cristiani abbiamo una posi­zione privilegiata, ma dobbiamo essere umili e capire che il messaggio di Cristo ci supera...”. L’1 marzo 1999 König rice­vette una lettera firmata dall'allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede card. Joseph Ratzinger — invia­ta in copia al Tablet — in cui affermava di aver letto l'articolo “con stupore e tristezza”. La settimana successiva, la lettera venne pubblicata, con un commento di König.

Dopo quattro anni, il 16 luglio 2003, racconta dunque la Pongratz sul NCR, il cardinale — all'epoca 97enne — e Dupuis — quasi 80enne — organizzarono di incontrarsi a Vienna per una giornata intera, durante la quale la giornalista del Tablet fu presente. Gli impegni presi in quel memorabile incontro non poterono tuttavia essere rispettati: dopo pochi giorni König fu operato per una frattura provocata da una caduta, si riprese ma qualche mese dopo, il 13 marzo 2004, morì nel sonno. Dupuis lo seguì in questo destino nel dicembre dello stesso anno.

Ho conservato le cassette registrate in occasione di quel dialogo avvenuto in quel mercoledì di luglio 2003. Loro avreb­bero voluto che fossero pubblicate, e di recente ho cominciato a trascriverle”, scrive ora la Pongratz-Lippitt. Ecco dunque, in una nostra traduzione dall’inglese, la memoria di quel colloquio “tra un cardinale e un teologo, modello di quella fiducia reciproca che raggiunsero al Vaticano II, di cui oggi abbiamo bisogno più che mai”, (ludovica eugenio)



EVANGELIZZAZIONE: PRIMA IL DIALOGO, POI L'ANNUNCIO

Franz König e Jacques Dupuis


Dupuis: Come dicevamo, è molto importante conside­rare il dialogo interreligioso nel contesto asiatico. La grande questione è come annunciare Gesù Cristo in un Paese come l’India di oggi. Appena si inizia a parlare di proclamazione — intendo proprio il termine proclamazione — appare in qualche modo l'obbligo di dire a tutti che Gesù è l’unico salva­tore universale e che le persone a cui lo si annuncia devono convertirsi al cristianesimo... Bisogna chiarire che evange­lizzare non significa meramente proclamare. Evangelizzazione significa prima di tutto testimonianza cristiana. Poi comporta un impegno per la giustizia nel mondo e per la liberazione dei popoli dall'ingiustizia. In terzo luogo viene il dialogo interreligioso e infine, quarta in ordine di importan­za, viene la proclamazione. Nel contesto indiano ciò che è più importante è l’impegno per la liberazione umana e il dialogo interreligioso. Ecco perché le parole pronunciate da Giovanni Paolo II quando è venuto a Delhi per la pubblica­zione dell’Esortazione post-sinodale sulla Chiesa in Asia sono state molto pericolose. Avrai presente come ha ricor­dato che il primo millennio è stato quello dell’evangelizza­zione dell’Europa, il secondo quello dell’Africa e dell’Ame­rica e il terzo sarebbe stato quello dell’evangelizzazione dell’Asia e dell’India. (...) Nel contesto indiano bisogna ren­dere chiaro che ciò che è importante è l’impegno nella libe­razione umana e nel dialogo interreligioso, e che la procla­mazione viene per ultima. Parlare di "evangelizzazione del­l’Asia" come se si trattasse di qualcosa di simile all’evangeli­zzazione dell’America e dell’Africa è un modo di parlare molto pericoloso in India.


König: Certo, estremamente pericoloso. Non bisogna mai dimenticare il peso della storia, in questo caso il peso coloniale. E come il termine “missionario”, che a molti asia­tici, africani e latino-americani ricorda i missionari bianchi europei che convertivano a forza migliaia di indigeni battez­zandoli immediatamente e spesso in modo estremamente superficiale.


D: L’attuale governo indiano è ostile al cristianesimo, fortemente ostile. Quando ho chiesto al mio provinciale a Calcutta se mi sarebbe stato possibile tornare lì, mi ha det­to: “Scordatelo! Non otterrai mai il permesso di stare qui, non più”. E questo nonostante fossi vissuto in India per 36 anni! Una cosa che forse potresti menzionare nell'articolo è l’importanza del dialogo interreligioso in questo contesto. Un dialogo interreligioso autentico, cioè senza secondi fini, è l’unico modo di entrare in contatto.


K: Il punto è che il termine dialogo è diventato così banale... Penso che bisognerebbe spiegare in modo molto preciso che cosa implica un dialogo autentico. Si tratta di avvicinarsi alla verità ponendosi domande a vicenda e cer­cando di ridurre le false verità.


D: A Roma c’è qualcuno che vuole questo tipo di dialogo?


K: Dopo il Concilio Vaticano II, qualcuno dovrebbe esserci. La Chiesa aveva troppa paura delle domande... Il Concilio ha cambiato tutto questo. Non crediamo più — e oggi meno che mai - che non vi sia verità al di fuori della Chiesa. Siamo diventati un po' più umili. Dio solo è la verità definitiva. Cerchiamo la verità di Dio nei nostri fratelli — che sono tutti sue creature — tramite il dialogo.


D: Per favore, tutto questo scrivilo.


K: Giovanni Paolo II, quando ha incontrato i vescovi indiani a Roma, ha fatto riferimento a questo problema dell'utilizzo del termine “proclamazione”?


D: Ha insistito di nuovo sul fatto di proclamare Gesù Cristo. Mons. Joseph Robert Rodericks, vescovo emerito di Jamshedpur — un gesuita, mio caro amico — è venuto a tro­varmi quando i vescovi indiani erano a Roma e mi ha rac­contato del loro incontro con il card. Ratzinger e con il pa­pa. E mi ha detto che entrambi hanno insistito sul proclamare Gesù Cristo. E Rodericks ha detto al Santo Padre: “Sì, Santo Padre, ma lei deve vedere tutto questo nel contesto indiano: non si può proclamare Gesù da subito, in modo diretto. Prima bisogna rendere il messaggio accettabile per mezzo della testimonianza cristiana”. (...) E in secondo luo­go con il dialogo. E il dialogo presuppone una teologia aperta, positiva.


D: Il dialogo deve essere fondato teologicamente. Una teologia aperta del dialogo deve riconoscere i valori autenti­ci, gli elementi della verità e della grazia divina, che si trova­no nelle altre tradizioni religiose, e questo è il punto in cui la Congregazione è ancora molto indietro rispetto ai tempi.


Κ: Non c'è di mezzo anche la Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli?


D: Certo. Il prefetto, il card. Jozef Tomko, è stato uno dei cardinali che hanno denunciato il mio libro.


K: Tomko, chiaramente, ha un approccio molto occi­dentale a tutto questo.


D: Prendiamo il primo incontro di Assisi nel 1986. Gio­vanni Paolo II, il card. Roger Etchegaray e tutti i responsa­bili hanno insistito sul fatto che andavano ad Assisi insieme per pregare, ma in seguito hanno detto: “Non abbiamo pre­gato insieme”. Pregare insieme ai non cristiani, cioè pregare davvero insieme, non era possibile, è stato detto. Al secon­do incontro ad Assisi hanno pregato separatamente, e nel 2002 ancora più separatamente che nel 1986. Io dedico l’ultimo capitolo del mio libro Christianity and the Religions alla preghiera interreligiosa, spiegando qual era la posizione uffi­ciale di Roma nel 1986 all’epoca del primo incontro di Assi­si. Poi cito il documento della Conferenza episcopale india­na sul dialogo, in cui i vescovi indiani affermano che prega­re insieme non solo è possibile ma è obbligatorio. Allora, dov’è la verità? I vescovi indiani sono di certo anch’essi par­te dell'episcopato mondiale, no?


K: Forse possiamo considerare Assisi — l’incontro del 1986 — come punto di partenza dell'articolo e poi comincia­re a far emergere cosa c'è dietro?


D: Quell’incontro di Assisi è stato importantissimo, ma...


K: Il card. Ratzinger era contrario ad esso.


D: Sì, il card. Ratzinger era contrario. Ma voglio torna­re a quanto hanno detto i vescovi indiani. Essi affermano: “Una terza forma di dialogo tocca i livelli più profondi della vita religiosa e consiste nella condivisione nella pre­ghiera e nella contemplazione. Il fine di questa preghiera comune è in primo luogo adorazione collettiva del Dio di tutti che ci ha creati perché fossimo un'unica grande fami­glia. Siamo chiamati a pregare Dio non solo individualmente ma anche in comunità, e poiché siamo una cosa sola con l’umanità intera in modo molto reale e fondamentale, non è solo nostro diritto ma anche nostro dovere pregarlo insieme con gli altri”. E “con gli altri” significa chiaramente anche con i non cristiani. Ora, quando il papa parla di evangelizzazione in India, dev’essere subito chiaro come egli intenda il dialogo interreligioso. Ma nella Di­chiarazione Dominus Iesus, alla fine, quando si parla di dia­logo interreligioso, lo si disdegna ancora una volta. Se ti ricordi, l’ultima parte della Dominus Iesus dice che, sebbene il dialogo interreligioso sia parte della missione evangeliz­zatrice della Chiesa, la Chiesa deve essere in primo luogo impegnata a proclamare la verità. Ed ecco di nuovo l'insi­stenza sulla proclamazione.


K: Ma che senso avrebbe allora il dialogo? Il dialogo autentico dev’essere sincero. Non devono esserci secondi fini. E ovvio che ognuno dei partner ha un obiettivo. Lo scopo è di convincere il proprio partner della profondità dei propri argomenti. Ma vale anche il contrario. Bisogna allo stesso modo essere disposti a lasciarsi convincere della pro­fondità degli argomenti del proprio partner, bisogna voler raggiungere una comprensione profonda di essi. Il dialogo non è un tentativo di persuadere ο convertire; l’obiettivo è arrivare a conoscere il proprio partner e comprendere per­ché crede in ciò in cui crede.


D: Ma per Roma l’unica cosa importante è la procla­mazione...


K: La mia impressione è che all’inizio Giovanni Paolo II fosse molto vicino alla tua posizione, ma che poi gradual­mente si sia lasciato correggere dalla Congregazione per la Dottrina della Fede.


D: Sì, sì. Questo papa ha svolto un ruolo molto impor­tante nel sottolineare i percorsi dello Spirito Santo, i percor­si universali dello Spirito Santo...


K: Sì, anche io la vedo così.


D: Non solo nella vita religiosa dei singoli cristiani...


K: ...ma anche nelle comunità...


D: ...e anche nelle culture e nelle altre religioni. Egli ritie­ne che lo Spirito Santo sia presente nell’induismo...


K: Sì...


D: E nell’islam e nel buddismo.


K:

D: La mia domanda è: in che modo opera lo Spirito San­to? Non è ciò che intendeva il Concilio quando parlava de­gli elementi di verità e di grazia nelle altre religioni?


Κ: Sì, questo è il punto.


Christa Pongratz-Lippitt: Non ci sono cardinali a Ro­ma che la pensano come voi?


D: Questa è una bella domanda. Personalmente ho po­chi contatti con i cardinali... Per quanto riguarda il mio Or­dine, l'Ordine dei gesuiti, il mio padre generale è sempre stato dalla mia parte. Grazie a Dio avevo lui, altrimenti non so che cosa avrei fatto ο che cosa sarebbe stato di me.


K: Non potremmo menzionare i gesuiti, le loro grandi idee e le loro attività in questo campo, e il modo in cui ora hanno fatto proprie le tue idee? Il padre generale mi ha det­to, quando gli ho parlato di te, che i gesuiti vorrebbero cer­care di andare avanti nella tua direzione, all’inizio con molta cautela, ma che volevano discutere i tuoi problemi. Hai la sensazione che stiano aspettando, per così dire?


D: Sono prudenti e non si assumerebbero rischi. Questa è la mentalità di molti di loro. E triste, perché i teologi de­vono essere in grado di pubblicare. Ma per tornare alla do­manda se vi sono cardinali dalla mia parte in Vaticano, pos­so dire che il padre generale una volta mi ha detto — “Sappi che in Vaticano ci sono più persone dalla tua parte di quan­to pensi. Solo che non possono dirlo apertamente. Anche persone importanti”.


K: È vero. È così.


D: Però, vedi, nemmeno le persone importanti in Vati­cano possono contraddire la Congregazione per la Dottrina della Fede. Posso solo dire che non ho contatti in alto. Nes­sun cardinale mi ha chiamato per dirmi: “In questa situazio­ne sono dalla tua parte”. Tutto quello che so è ciò che mi ha detto il Padre generale, cioè che c’erano più persone dalla mia parte di quanto immaginassi. Ma per tornare all’artico­lo, penso che si possa sottolineare il contesto asiatico, spe­cialmente il contesto indiano e l’importanza del dialogo in­terreligioso come elemento costitutivo della missione evan­gelizzatrice della Chiesa. Per quanto riguarda la teologia del dialogo, la risposta ovviamente è una teologia aperta del dialogo che riconosca i valori divini presenti nelle altre tra­dizioni religiose e che anche in quanto cristiani e cattolici possiamo essere arricchiti entrando in questo dialogo inter­religioso, che è il punto focale ed il contesto del mio libro.


K: Potremmo evidenziare certi capitoli del tuo nuovo libro. Penso in particolare al capitolo 9 sul dialogo e al 10 sulla preghiera.


D: E passare poi a ciò che è già stato pubblicato quanto a importanti documenti come “Dialogo e missione” del Segretariato per le religioni non cristiane nel 1984, che spie­ga punto per punto la missione della Chiesa, cioè testimo­nianza, impegno per la giustizia, dialogo e, solo alla fine, proclamazione... Sai, alcuni anni fa, il card. Tomko pronun­ciò il discorso di apertura di un’assemblea plenaria della Federazione delle Conferenze episcopali asiatiche e disse, non testualmente ma con parole analoghe: “Voi vescovi asiatici non state facendo il vostro lavoro perché in Asia non ci sono conversioni al cristianesimo ο ve ne sono ben poche”. I vescovi asiatici la presero malissimo e reagirono in modo molto forte, con il risultato che il giorno dopo il card. Tom­ko riprese immediatamente l'aereo per Roma. Vedi, è questa ossessione sul fatto che evangelizzazione significa procla­mazione e significa battesimi. Ma non è così a leggere certi documenti ufficiali, che presentano una visione molto più ampia della missione della Chiesa.


K: Ciò che stai dicendo è della massima importanza. Quale capitolo del tuo secondo libro secondo te è il miglio­re ο condensa al meglio l'intero problema? Forse l’inizio e la conclusione?


D: E difficile dirlo. Certamente la questione del dialogo — cioè il capitolo 9 di Christianity and Religions, ma forse an­che i capitoli del libro precedente, “Verso una teologia cri­stiana del pluralismo religioso”, il capitolo 14, dove spiego come il dialogo sia evangelizzazione e mi addentro nella teologia del dialogo. È dove discuto il documento “Dialogo e Proclamazione”, ma anche l’importante contributo che Giovanni Paolo II ha dato con la sua continua affermazione della presenza e dell'azione dello Spirito di Dio tra i membri delle altre religioni e ovviamente ad Assisi, dove ha posto le fondamenta teologiche per il dialogo interreligioso.


Κ: P. Karl Rahner definì l’idea li dialogo e religione il sovrannaturale esistenziale, ricordi...


D: Certo. In realtà mi sono molto ispirato da Rahner...


K: Se dicessi che la religione appartiene ο fa parte dell’esistenza umana, tu diresti che è la stessa cosa che dice Rahner quando parla di sovrannaturale esistenziale?


D: Sì. L’esistenziale di Rahner significa che l'uomo è fin all'inizio nella creazione. Il che significa che la storia della salvezza non comincia con Abramo. Comincia con la crea­zione. E pertanto vi è rivelazione divina — l’atto divino della salvezza — nel corso di tutta la storia umana. Ma certo que­sta linea non è accettata da tutti.


K: In definitiva — se recepisco la tua idea — essa conferi­sce molti aspetti positivi alla religione cristiana, intendo dire che il cristianesimo viene fuori in una luce molto positiva.


D: Ed è il messaggio cristiano che dovrebbe farci svilup­pare questo atteggiamento positivo e aperto invece di pre­sentare la fede cristiana come una sorta di fede chiusa, chiu­sa in se stessa come “l’unica vera religione” e cosi via.


K: E tutto questo è un tema molto importante per l’Europa. Qual è il significato della rivelazione? Qual è il significato della religione? Il modo europeo di praticare la religione, la convinzione religiosa, ha vissuto talmente tanti cambiamenti, nel corso delle epoche...


D: Sì. E c’è una cosa che mi colpisce. Ho tenuto confe­renze dappertutto e ho presentato in tanti Paesi ciò che ho scritto e ciò in cui credo, e ovunque ho visto come sono felici le persone di scoprire un modo di presentare la fede che ha senso perché è aperto e permette loro di respirare, invece di sentirsi dire che al di fuori della Chiesa non c'è salvezza.


Κ: Sempre quell'idea di combattere contro gli altri...


D: Già. Purtroppo non vi è dubbio che la Chiesa in que­sto momento stia tornando indietro. La Dominus Iesus è un grande passo indietro. La Congregazione dice che la rivela­zione in Gesù Cristo è completa, finale, definitiva e tutto il resto — ma questo è impossibile! [alzando la voce] —, il Nuovo Testamento dice che Dio sarà rivelato pienamente alla fine dei tempi.


K: Sì.


D: Ciò che è vero è che la rivelazione in Gesù Cristo è insuperata e insuperabile come rivelazione divina nella sto­ria. Ma la piena e definitiva rivelazione di Dio, secondo il Nuovo Testamento, sarà alla fine del mondo. Quindi come può la Congregazione dire ciò che dice?


K: Studiano i libri, non la realtà.


D: Vogliono dire “assoluto”, “definitivo” e tutto il resto perché non vogliono accettare che la rivelazione possa tro­varsi fuori dal cristianesimo.


Κ: Questo è un aspetto molto importante. Certo dobbia­mo accettare che la rivelazione in Gesù Cristo è conclusa, ma la questione è: abbiamo capito bene tutto? Dobbiamo continuare a discutere questo ad ampio raggio e continuare a cercare e a chiarire punti che non sono ancora chiari. Per come la vedo io, anche se la rivelazione divina è conclusa, non vi è la possibilità che alcune persone possano giungere ad una comprensione profonda speciale, personale, nuova, un misto di rivelazione e interpretazione, una sorta di ispira­zione? Noi crediamo nell'azione dello Spirito Santo, e sono incline a pensare che il Santo Padre su questo sia d'accordo con me ma non lo dica alla Congregazione. Crediamo nell'azione dello Spirito Santo in tutto il mondo e che tutte le religioni del mondo stanno cercando risposte alle domande definitive. Forse la comprensione umana e lo Spirito Santo all'opera insieme, per così dire, riveleranno un nuovo approccio. Il card. Ratzinger e la maggior parte dei teologi a Roma sono occidentalizzati; non sanno abbastanza dell’Asia ο della mentalità asiatica ο indiana. Ma gli induisti, al mo­mento, vogliono il dialogo?


D: Una cosa al momento è sicura: gli induisti sono sulla difensiva. Temono che il dialogo sia forse solo una tattica per cercare di convertirli al cristianesimo, ma una volta che com­prendono che si tende ad un dialogo aperto, aperto alle loro tradizioni religiose, allora l’atmosfera cambia e il loro interesse si fa vivo. (...) Se assumiamo questo atteggiamento nel dialogo interreligioso, non c’è il rischio di sminuire il mistero di Gesù Cristo, ma deve essere inteso correttamente, non come se escludesse che Dio e Gesù Cristo e lo Spirito Santo sono pre­senti ed operanti anche al di fuori dei confini della Chiesa. Questo è ovviamente ciò che la Congregazione per la Dottri­na della Fede non è pronta ad accettare.


Κ: Vi sono teologi del mondo orientale nella Congrega­zione? Il mio timore è che siano tutti occidentali.


D: È vero. Il nucleo è occidentale. Il risultato è che que­sti temi vengono discussi da persone che la pensano tutte allo stesso modo. E non sono rappresentate le diverse scu­ole teologiche di pensiero. Quindi non sorprende che le cose vengano affrontate nel modo in cui lo fa la Congrega­zione per la Dottrina della Fede.


K: Non c'è stato alcun contatto prima che il card. Tomko andasse in India per parlare alla Federazione delle Con­ferenze episcopali asiatiche (...)?


D: Assolutamente no. I vescovi indiani vengono rifiuta­ti, come i teologi indiani e come p. Dupuis! Penso che que­sto si possa dire di molti vescovi asiatici e di certo dei teolo­gi. Ti ricorderai i Lineamenta che il Vaticano ha pubblicato prima del Sinodo per l’Asia. Più ο meno dicevano che la Chiesa asiatica deve fare sforzi maggiori per evangelizzare. E ricorderai come i vescovi giapponesi li abbiano completa­mente rifiutati, come pure i tentativi del Vaticano di stabilire delle regole.


Κ: Il prossimo papa dovrà lavorare sul tema della collegia­lità. Non si può semplicemente ignorare l’opinione dei vesco­vi asiatici prima di un Sinodo per l’Asia. Ho la sensazione che la storia delle religioni del genere umano sia un prodotto europeo, un modo di pensare, di esplorare europeo, che nei secoli più recenti spesso ha riflesso la tensione tra religione cristiana e scienze (...). Quindi dobbiamo tornare alla situazio­ne naturale, con l'uomo che cerca di trovare risposte alle grandi domande ultime.

D: La Nostra Aetate si esprime in modo splendido in proposito, no? Mostra come tutte le religioni si pongano quelle domande decisive sull’uomo, il significato della vita e così via... Nel corso dei secoli c’è stata una tendenza crescente all’esclusività: il cristianesimo come unica vera reli­gione, e così via. In un certo senso ciò è iniziato con Co­stantino, quando il cristianesimo diventò religione di Stato. Ora, il documento del Concilio Vaticano II sulla libertà religiosa non ha usato quell’espressione, cioè che il cristianesi­mo è l’unica vera religione. Non sarebbe possibile affermare in modo chiaro e senza ambiguità che cosa è unico e nuovo e originale nel cristianesimo, senza dover usare espressioni esclusiviste come “l’unica vera religione”? Questa frase suo­na come se avessimo il monopolio, e non è vero...


K: Il testo del Vaticano II che afferma che gli esseri umani sono sempre alla ricerca di risposte alle domande ultime può essere il nostro punto di partenza.


D: E molto importante prendere sul serio ciò che Gio­vanni Paolo II ha detto sulla presenza universale dello Spi­rito Santo. Ne consegue che ci devono essere valori salvi­fici in altre religioni. P. Gerald O’ColIins, mio caro amico e mentore, ha chiesto, in una lettera al Tablet, se la condan­na di p. Dupuis non finisse in realtà per condannare Gio­vanni Paolo II. Io, naturalmente, considero questa doman­da molto opportuna, dal momento che in un certo senso è sicuramente vero... Se si prende seriamente l’affermazione forte di Giovanni Paolo II sullo Spirito Santo, allora il dialogo deve essere aperto. Quando nella sua enciclica Redemptoris Missio [1990] il papa afferma che i due elementi — dialogo e proclamazione — devono mantenere il loro carat­tere distinto e non devono essere manipolati, ciò significa di sicuro che il dialogo non può essere ridotto ad uno strumento per la proclamazione come il cardinal Tomko sem­bra considerarlo.


K: Il dialogo deve essere aperto. La paura è sempre una cattiva consigliera. Un atteggiamento aperto e non una mentalità chiusa contribuirà a dare nuove profondità al messaggio cristiano...

[Qui il card. König fa riferimento al gesuita p. Waldenfels di Bonn, che aveva trascorso “molto tempo in Giappo­ne” e che, in un articolo sul caso Dupuis, aveva citato Got­tlieb Söhngen, un insegnante del cardinale Ratzinger, che scriveva rispetto ad una potenziale teologia cinese: “I cinesi e gli altri asiatici dovranno analizzare la teologia cristiana occidentale a partire dal punto di vista proprio dell'Estremo Oriente e non concludere con una mescolanza al 50% occi­dentale e al 50% orientale, che assomiglierebbe ad una sorta di goulash di pollo. Dovranno produrre una nuova essenza della teologia cristiana, cioè una visione teologica propria dell'Estremo Oriente, le cui caratteristiche orientali ci colpi­ranno davvero in modo così duro che non sapremo più che giorno è, per il semplice motivo che, dal tempo dei filosofi greci, gli occhi e le orecchie dei pensatori occidentali si sono sviluppati in modo diverso”].



D: Questo dimostra come Waldenfels conosca bene la situazione in Asia. Che è ciò che manca a tanti cardinali di Curia, visto che non hanno esperienza di vita nella realtà del mondo non cristiano. Il card. Tomko, il card. Bertone, il card. Ratzinger, che cosa sanno dell’India? Hanno mai studia­to qualcuna delle grandi opere delle altre religioni, eccezion fatta per l’Antico Testamento, che non è l’opera di un’altra religione, ma per così dire del nostro fratello maggiore? Si sono mai addentrati nel dettaglio della letteratura religiosa indù, oltre ad essere entrati in dialogo con i leader religiosi induisti? Questo sottolinea l'ingiustizia della Dominus Iesus.


K: Penso che la Dominus Iesus non sia stata preparata con sufficiente attenzione. Il cardinal Ratzinger lo ha ammesso quando ha detto che la Congregazione non era preparata alle reazioni a livello mondiale. Prima di scrivere un docu­mento del genere, bisogna prendere tanti aspetti in considerazione, in particolare il linguaggio e il tono. Termini come l’aggettivo “deficitarie” in riferimento ad altre religioni, che derivano dal latino ma che hanno assunto un significato peggiorativo nell'inglese moderno, per esempio. E, chiara­mente, questo ha molto a che fare con la psicologia. Devi avere presente chi leggerà il documento vaticano. I teologi non devono intervenire ad udienze generali e la Dominus Iesus era certamente destinata ad un'udienza generale, a ve­scovi, teologi e cattolici in generale. Penso che sia arrivato il momento di un bicchiere di vino. Abbiamo avuto una gior­nata lunga. E non preoccuparti, farò del mio meglio per scrivere su tutto questo.